Un eroe è una persona che compie un’azione che non tutti sono capaci di compiere e lo fa per una causa oggettivamente buona, magari per salvare una persona in difficoltà o per difendere qualcuno o per proteggere qualcosa, come la giustizia. In un fumetto, in questo caso diventerebbe un supereroe.

Giovanni Falcone è un eroe, ma prima di tutto è un cittadino italiano, uno che ha combattuto la mafia con una mano legata dietro le schiena, un uomo che ha rinunciato a tutto per “spirito di servizio”, come disse in un’intervista. Falcone oggi è un eroe ma pochi mesi prima di morire era considerato una persona scomoda, uno che soffriva di manie di protagonismo e questo non va dimenticato: perché la mafia, prima che con la lupara, uccide con le parole, per delegittimare chi la combatte e lasciarlo solo. Ecco perché è importante ricordare Giovanni Falcone, eroe italiano.

https://youtu.be/Klk3nk9BQGc

Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939. I suoi genitori si chiamavano Arturo Falcone e Luisa Bentivegna ed aveva due sorelle maggiori, Anna e Maria. Dopo aver frequentato il liceo classico Umberto I e dopo una breve esperienza presso l’Accademia navale di Livorno, nel 1961 si laurea in Giurisprudenza a Palermo. Nel 1964 diventa pretore a Lentini e poi rimane per 12 anni sostituto procuratore a Trapani. Trasferitosi a Palermo nel 1978, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, lavorò all’Ufficio istruzione, sotto la guida di Rocco Chinnici, e insieme a Paolo Borsellino lavorarono su oltre 500 processi. Chinnici assegna a Falcone nel 1980 l’indagine su Rosario Spatola, collegato anche alla mafia americana, e qui cominciò un grande lavoro di indagini bancarie e patrimoniali. Dopo l’uccisione di Chinnici nel 1983, Antonino Caponnetto costituisce il pool antimafia, che includeva Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta. Nel 1984, con l’interrogatorio al pentito Tommaso Buscetta, si ha una svolta nelle indagini contro Cosa Nostra. Quando il pool cominciò a lavorare al grande maxiprocesso a Cosa Nostra, i due collaboratori di Falcone, Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, vennero uccisi e quindi i giudici e le loro famiglie vennero trasferiti per sicurezza al carcere dell’Asinara. Nel 1987 si concluse il Maxiprocesso, con 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia. A dicembre del 1986, Falcone viene nominato procuratore della repubblica di Marsala, e il pool si allarga, includendo altri giudici: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte. Nel 1988 Meli, che aveva sostituito Caponnetto, scioglie il pool antimafia. Il 21 giugno 1989 ci fu un fallito attentato alla villa di vacanza di Falcone, all’Addaura. Ancora non si è fatta chiarezza su questo fallito attentato. In quegli anni ci fu anche un’altra vicenda: furono inviate una serie di lettere anonime che diffamavano il giudice e i suoi colleghi e si pensò che il mittente fosse interno alla magistratura. Nel gennaio 1990 coordina un’inchiesta che porta all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l’avvio dalle confessioni del “pentito” Joe Cuffaro’ il quale aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva scaricato nel gennaio 1988, 596 chili di cocaina al largo delle coste di Castellammare del Golfo. Negli anni tra il 1990 e il 1992, Falcone viene attaccato da diversi fronti, in particolare è estremamente noto l’intervento di Leoluca Orlando nella trasmissione di Rai 3 “Samarcanda”. Anche Cuffaro si è scagliato contro Falcone in una trasmissione televisiva. Nel 1990 alle elezioni dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, Falcone è candidato per le liste “Movimento per la giustizia” e “Proposta 88” (nella circostanza collegate): l’esito sarà però negativo. La sua vincinanza al socialista Martelli lo fece attaccare da molte parti del mondo politico. Nel 1991 ci fu un intenso lavoro da parte del giudice, ma il 23 maggio 1992 quando alle 17 e 56, all’altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l’auto su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

 

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