I giovani meridionali 

condividono con i loro coetanei del centro e nord Italia le stesse limitazioni che ne ritardano (talvolta addirittura impediscono) il cammino verso l’indipendenza.
Le stesse ragioni di ordine economico e culturale che portano i giovani italiani a cercare un percorso di autonomia non fuori ma dentro o intorno alla propria famiglia di origine sono, se possibile, ancora più stringenti per i “bamboccioni” meridionali che devono fare anche i conti con la difficoltà di provenire da regioni in cui le condizioni di sviluppo economico, le reti infrastrutturali, i servizi, l’accesso al lavoro ed alla formazione sono ancora meno favorevoli.

Intrecciare l’orrenda retorica bamboccionesca alla mai risolta questione meridionale (ovviamente non scindibile da un’analisi complessiva del sistema di sviluppo italiano) può sembrare un modo per complicare inesorabilmente l’analisi, ma non è necessario rispolverare gli studi di Sonnino, Nitti o Salvemini per prendere atto della persistenza di alcuni dei sintomi atavici caratterizzanti il divario Nord-Sud quali la forte emigrazione e gli elevati indici di povertà della popolazione meridionale.

Mediamente più poveri e più propensi ad emigrare dei loro coetanei del Nord,  come spiegare allora il fatto che il fenomeno del “bamboccionesimo” dilaga anche nel meridione?

Contro la vulgata leghista, inizialmente rivolta ai “terroni” e che ora sposta il tiro sugli immigrati stranieri, non è certo la “buona volontà” a mancare: gli stessi dati ISTAT mostrano, ad esempio, che è nel Mezzogiorno che si concentra la maggior quota di persone che pensa che già a 18-20 anni i giovani debbano lasciare la casa dei genitori (il 25% contro il 15,6% del Nord-ovest).

Ancora oggi ogni ragazzo/a meridionale impara presto che l’opzione di partire alla ricerca della propria “fortuna” prima ancora che una scelta è spesso un’esigenza e andar via dalla propria famiglia per la maggior parte di loro significherà anche abbandonare la loro città o Regione di origine per trasferirsi “al Nord”. I flussi migratori sud-nord , pur in diminuzione, sono ancora consistenti e se da un lato non può che essere così (dato che il Mezzogiorno continua ad essere la parte più giovane del Paese – nonché quella che registra tassi di disoccupazione giovanile sensibilmente maggiori); dall’altro ciò non fa che privare il Sud di quel capitale umano di cui avrebbe bisogno per il proprio sviluppo.

 

“Sono sempre i migliori quelli che se ne vanno”

Lontani i tempi dell’emigrazione operaia – la forza lavoro delle fabbriche è oggi offerta soprattutto dagli immigrati stranieri – oggi il Sud “esporta” in gran parte giovani altamente qualificati o, sempre più spesso, ragazzi che scelgono di iscriversi alle università del Centro-Nord per aver maggiori chances di trovare lavoro subito dopo la laurea.

 

Tab. 1. Mobilità territoriale dei laureati meridionali per genere, origine sociale e gruppo di laurea frequentato (valori percentuali)

 

Statici

 

Mobili ante-lauream

 

Mobili

 

post-lauream

 

Totale

 

(N)

 

Tornati

 

Non tornati

 

Genere

 

 

 

 

 

 

 

Maschio

 

46,3

 

37,2

 

7,3

 

9,2

 

100

 

(4.628)

 

Femmina

 

47,7

 

39,2

 

6,4

 

6,8

 

100

 

(4.935)

 

Origine sociale

 

 

 

 

 

 

 

Imprenditori

 

42,9

 

41,7

 

10,3

 

5,2

 

100

 

(593)

 

Liberi professionisti

 

42,0

 

45,6

 

7,0

 

5,5

 

100

 

(733)

 

Dirigenti

 

42,9

 

41,3

 

8,0

 

7,7

 

100

 

(2.585)

 

Classe media impiegatizia

 

49,1

 

35,1

 

5,8

 

10,0

 

100

 

(2.913)

 

Piccola borghesia

 

47,7

 

39,7

 

6,8

 

5,8

 

100

 

(1.224)

 

Classe operaia

 

53,2

 

34,1

 

5,1

 

7,6

 

100

 

(1.728)

 

Gruppo di laurea

 

 

 

 

 

 

 

Scienze

 

52,7

 

36,2

 

4,0

 

7,1

 

100

 

(1.823)

 

Medicina

 

49,6

 

40,3

 

6,1

 

4,0

 

100

 

(1.646)

 

Tecnico

 

45,6

 

37,5

 

5,8

 

11,1

 

100

 

(1.778)

 

Economico-statistico

 

49,0

 

33,0

 

5,9

 

12,1

 

100

 

(1.317)

 

Scienze sociali

 

26,5

 

57,1

 

9,8

 

6,5

 

100

 

(816)

 

Giuridico

 

51,7

 

35,3

 

9,3

 

3,6

 

100

 

(1.033)

 

Umanistico

 

53,6

 

33,6

 

4,5

 

8,2

 

100

 

(1.325)

 

Totale

 

47,2

 

38,3

 

6,7

 

7,8

 

100

 

(9.563)

 

Fonte: elaborazione su dati Istat, indagine 2004 sull’ inserimento professionale dei laureati del 2001

 

 

Molti sono quelli che partono, ma moltissimi sono quelli che non riescono a farlo per la mancanza di un sistema di borse di studio e residenze universitarie adeguate. Chi parte, quindi, ha in genere alle spalle delle famiglie che possono permettersi di sostenere un investimento cosi’ consistente e duraturo. Anche in questo caso la mobilità sociale è  insopportabilmente condizionata dalle condizioni della famiglia di origine.

L’allontanamento dalla famiglia, il raggiungimento di una condizione autonoma, è solo simulata: di fatto il giovane meridionale emigrato per motivi di studio continua in massima parte ad essere un “bamboccione in trasferta”, dipendendo dalla famiglia di origine per tutti gli anni di studio e sempre più spesso anche una volta trovato lavoro, a causa del basso livello dei “redditi di ingresso”e dei costi proibitivi degli affitti.

E’ quasi superfluo sottolineare che i casi succitati sono comunque quelli più fortunati: le spese che una famiglia deve sostenere per mantenere una figlia ed un figlio fuorisede sono elevate e, sebbene alcune Regioni abbiano negli ultimi anni utilizzato – con fortune alterne – le risorse dei fondi  europei per sovvenzionare formazione e ricerca, in media a partire saranno i figli delle persone più abbienti o disposte a maggiori sacrifici.

Non è detto, fra l’altro, che al successo formativo della giovane o del giovane meridionali segua poi un futuro meno problematico: soprattutto nel caso in cui questo scelga di tornare – una volta completata la propria formazione – nella propria zona di provenienza, sarà molto difficile, ammesso che si riesca a trovare lavoro , sfuggire al rischio generalizzato della dequalificazione e del “sotto-inqudramento”, finendo per accettare lavori lontani da quelli per cui ci si è effettivamente preparati.

Once bamboccione, always bamboccione …

Piuttosto che vaneggiare di leggi per far uscire di casa “ex lege”i bamboccioni italiani il Governo dovrebbe seriamente ripensare il sistema di welfare da un lato ed incentivare gli investimenti in ricerca ed innovazione dall’altro , rivedendo in modo strategico le politiche di riequilibrio territoriale, puntando non solo sulla quantità dei fondi quanto sulla qualità dei programmi con cui sono utilizzate le scarse risorse a disposizione1

Gli elementi che sono “frenanti” per i giovani italiani rischiano (in tempi di crisi) di divenire ostacoli insormontabili per i giovani meridionali, né le prospettive per il futuro sono più rosee visto che il divario di sviluppo economico  acuisce anche il divario, di per sé già grave, in termini di capitale umano tra un Settentrione sempre meno in grado di mantenere le proprie promesse di lavoro ed un Sud che vede partire, spesso per sempre, le proprie energie migliori.

 

Vincenzo Cramarossa

Nato nel 1977, dopo una laurea in legge a Bari ha studiato relazioni industriali alla London School of Economics (LSE) e si é dottorato in “Scienze del Lavoro” presso l’Università degli Studi di Milano.

 

 

Fonte: Molecole

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