Così come deciso all’unanimità dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi Consiliari, in data odierna si è riunito il gruppo di lavoro composto dai Consiglieri Comunali Oronzo Capoti, Gregorio Dell’Anna, Flavio Maglio, Daniele Russo, Antonio Sabato e Sergio Vaglio,
per esaminare la preannunciata riorganizzazione dell’ospedale di Nardò e formulare osservazioni e proposte di miglioramento che lo potenzino e lo rendano funzionale alle esigenze del territorio.
Preliminarmente, viene evidenziata la inderogabile necessità che gli organi regionali, prima di avviare qualsiasi piano di riordino di strutture sanitarie pubbliche, ascoltino e si confrontino con le comunità interessate, attraverso i rispettivi organismi istituzionali.
L’Assessore Fiore ed i suoi consulenti, da quello che hanno predisposto per il nostro ospedale e per quelli vicini, sembra non conoscano le esigenze di un territorio che va da Gallipoli a Copertino: i quattro ospedali interessati (Nardò, Gallipoli, Copertino e Galatina), difatti, dovrebbero far parte di un progetto che ridisegni il fabbisogno assistenziale medico-chirurgico per l’intero bacino di utenza che gravita intorno ad essi. Cosicchè, tenuto conto che esistono già i contenitori e ponendosi come fine quello di realizzare un modello di ospedale diffuso, dove ogni contenitore abbia delle specialità in grado di interagire tra di loro, si risponderebbe razionalmente alla domanda complessiva di sanità della popolazione interessata.
In un disegno organico che ha per fine la razionalizzazione della spesa, non può essere sottovalutata – o peggio ancora inibita – la necessità di assicurare tutte le specializzazioni e tutti i servizi di cui il territorio ha bisogno. Per fare solo degli esempi: neurochirurgia, riabilitazione, cardiochirurgia, medicina nucleare, centro ustionati, sono specialità di cui un territorio come quello compreso in questo quadrilatero non può essere privato.
Per questo occorre incontrare l’Assessore Fiore ed i suoi tecnici, per dimostrare loro, dati alla mano, lo stato dell’assistenza ospedaliera nel nostro territorio, che si presenta già ora deficitaria di attività di eccellenza ma spesso anche di base. Non si tratta, quindi, di mettere in atto un’operazione di mero “taglio e cucito” qua e là di posti-letto, reparti o servizi, ma di progettare un modello sanitario che risponda ai requisiti di un’offerta di salute di qualità, che prescinda – perché anche di questo si tratta – dagli interessi degli addetti ai lavori per mirare esclusivamente a quelli della popolazione: le risorse umane, per ciò, andranno ridistribuite secondo le competenze ed in funzione dei poli assistenziali come innanzi illustrati e rispondenti all’idea nuova, e questa sì, razionale di ospedale diffuso.
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