Lo riconosci subito. Sguardo assente, perso negli impenetrabili recessi della mente umana; corpo adagiato in instabile equilibrio su una delle panchine prive di spalliera nel bel mezzo del corridoio brulicante umanità di un centro commerciale.
È lui, non puoi sbagliarti. È il Tizio In Attesa Ritorno Consorte Da Reparto Abbigliamento Femminile. Lo chiameremo, per comodità, Attendente. Niente di marziale in lui, se non una militaresca totale adesione ad un ruolo percepito come missione cui immolare la propria esistenza: fungere da supporto logistico per il raid commerciale sferrato dalla signora.
Diffidate di quei prototipi dalle fattezze umane che vedete alla guida di carrelli negli stretti corridoi di reparto, rasentando ondeggianti “crociere” sostegno degli ultimi capi fine collezione dati in pasto ai saldi: probabilmente sono degli androidi o, peggio, individui ormai del tutto privi di autocoscienza totalmente succubi della consorte, come testimonia il fatto che rispondono docilmente al mellifluo richiamo “amore!” a dispetto dell’età avanzata.
Lui invece, l’Attendente, ha conservato integro un orgoglio mascolino che gli impedisce la frequentazione di reparti che non siano quelli che fanno capo allo sfavillante universo del Mondo Digitale, per la cui visita si ritaglia quei 10 – 15 minuti in solitudine necessari a fantasticare sul possesso degli ultimi ritrovati tecnologici appartenenti alla categoria del superfluo indispensabile. Visita, invero, funzionale più all’affermazione di un proprio illusorio diritto all’autodeterminazione che all’acquisto di improbabili gadget, rimandato sine die a tempi migliori.
Il ritorno nel mondo del reale lo pone di fronte al problema di affrontare le due massacranti ore necessarie al completamento della “mezz’oretta” di shopping della compagna. Lo vedi quindi, il nostro Attendente, convergere con ostentata nonchalance verso quella panchina e occuparla quasi furtivamente, protetto com’è dall’anonimato garantito da un incessante viavai, e trovandoci spesso un altro esemplare della sua specie già nell’esercizio delle sue funzioni. Esemplare che in un primo momento lui ignora volutamente, giusto per non dare conferma della condivisione di un comune destino.
In quelle lunghe mezz’orette lì consumate il metabolismo dell’Attendente rallenta sino a rasentare la condizione letargica di un plantigrado in grotta durante l’inverno.
Si tratta di un escamotage messo in atto dalla provata psiche allo scopo di accorciare la percezione del lasso temporale che divide l’ingresso nel centro commerciale dalla successiva uscita. Durante questo tempo, che metafisicamente definiremo tendente all’infinito, le capacità cognitive dell’Attendente subiscono un recesso che lo riporta virtualmente all’età pre-puberale, come testimoniato da un impellente ma represso desiderio di abbandono al gioco nel vicino incantato angolo ludico per infanti e anche da un fastidioso tarlo musicale che lo costringe a canticchiare tutte le sigle dei cartoni animati nell’esclusiva interpretazione di Cristina D’Avena.
Tutto il suo vissuto di uomo del XXI° secolo, il suo immaginario e la sua personale rappresentazione della realtà entrano in uno stato di sospensione temporanea. Nessuno stimolo esterno è in grado di oltrepassare la bolla di indifferenza nella quale l’Attendente si rifugia, quasi fosse un campo di forze che lo isola e lo protegge dal mondo esterno. Nulla possono i carrelli pieni di ogni bene di consumo che gli sfilano davanti con effetto “supplizio di Tantalo”. Neanche le masse carnose ondeggianti a poppa e a prua delle ancheggianti stanghe mozzafiato che qualche volta lo sfiorano riescono a scalfire quello stato di apatia auto indotta. Il continuo dilatarsi della “mezz’oretta” di shopping, testimonianza diretta della relatività spazio-temporale einsteiniana, pone nuovi problemi legati al calcolo delle probabilità che tra le centinaia di persone che lo sfiorano con malcelata commiserazione nello sguardo possa prima o poi comparire un conoscente, al quale sarebbe costretto a rivolgere la formula preventiva “non chiedermi cosa ci faccio seduto qui perché non ho nulla da dichiarare!”.
Allora l’unica speranza che lo sostiene è che la “mezz’oretta” sia ormai agli sgoccioli e che la signora ricompaia all’orizzonte bottino alla mano e con un’espressione assolutoria che preluda l’imminente partenza.
Nell’attesa l’Attendente dà fondo a tutto il repertorio di pensierini e buoni propositi preconfezionati che da una vita lo aiutano a superare questi tragici frangenti: sterili elucubrazioni circa l’utilizzo di un molto ipotetico 6 al Superenalotto, o circa l’opportunità che la prossima macchina sia diesel o a benzina, fino alle classiche considerazioni sui cambiamenti climatici globali e su quant’altro rappresenti un soffice prato su cui adagiare i suoi stanchi pensieri.
Capita, infine, che possa anche stancarsi del suo isolamento e che decida di comunicare con l’esemplare della sua specie fino a quel momento ignorato, sempre che non sia stato ibernato per garantirne una lunga conservazione. A quel punto rompe gli indugi e prova a stabilire il più semplice dei collegamenti, che consiste nel riproporre una delle banalità globali di cui sopra, ma proprio mentre sta per proferire parola si accorge che lo sguardo dell’interlocutore si accende di una radiosa luce che, proiettandosi quasi come un fascio, va ad illuminare l’apparizione miracolosa della di lui consorte, giunta alfine a liberarlo dalla miseria della sua condizione.
Proverebbe anche un senso di solidale partecipazione emotiva per il ritorno alla vita del vicino, se non fosse per lo sguardo obliquo e il malizioso sorrisetto che costui gli riserva mentre scatta via come una molla verso la libertà, lasciandolo in preda al tipico magone di chi si sente ingiustamente abbandonato.
Questa è dunque la triste vita dell’Attendente, ma qualcuno deve pur farla.
Dimenticavo: capita qualche volta che l’Attendente abbia voglia di raccontare storie come questa.
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