Per tutti Laurent Fignon era il filosofo, il parigino, il corridore con gli occhialini e il codino biondo, l’intellettuale del gruppo. Nella memoria storica degli appassionati delle due ruote c’è l’immagine della sconfitta all’ultima crono del Tour de France ’89 perso per una manciata di secondi dall’americano Greg Lemond.
Moser lo battè nel 1984 quando vinse il Giro d’Italia con le ruote lenticolari post record dell’ora, nell’ultima tappa, sempre a cronometro, la Soave-Verona. Ma Fignon, nonostante le memorabili sconfitte, è stato un grande campione, un corridore completo da classiche e giri. L’ultimo grande francese, dopo Hinault. Vinse due volte il Tour, nel 1983 e nel 1984. Vinse il Giro ’89. Vinse anche due Milano-Sanremo.
Fu uno dei primi ciclisti moderni, il tipico campione anni Ottanta che spezzò la figura del corridore popolare, alla Hinault, figlio di contadini o della Francia operaia. Lui era parigino, appunto. Aveva una laurea nel cassetto. Appassionato di studi filosofici con la casa piena di gufi impagliati e libri di astrologia. E’ stato commentatore televisivo, ha scritto libri di successo, era una persona molto riservata e non amava parlare di sé. Ha vissuto con grande dignità la sua malattia, ne ha parlato pochissimo sono in un’occasione durante un commento televisivo disse che aveva questo male e che voleva combatterlo.
Fignon aveva annunciato di soffrire di un tumore all’apparato digerente nel giugno 2009 e lo scorso aprile si era rivolto agli specialisti che a New York avevano curato Lance Armstrong nel ’96. Aveva deciso di proseguire il trattamento in Francia. A luglio nonostante lo stato avanzato della malattia aveva commentato l’ultima edizione del Tour. Nel suo libro «Eravamo giovani e spensierati», Fignon aveva ammesso l’uso durante la carriera di anfetamine e cortisone negando sempre qualsiasi legame con il cancro. Aveva 50 anni.
Fonte: Il Sole24Ore
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