Il voto di mercoledi 22 settembre alla Camera, che ha respinto la richiesta dei magistrati per l’utilizzo delle intercettazioni che vedono coinvolto l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, va analizzato con una certa attenzione.
Grazie al voto segreto si è infatti visto che il garantismo è una linea di faglia che attraversa gli schieramenti e che, quando la questione della legalità esce per un momento dal cono di luce della propaganda e rientra nelle coscienze dei singoli, si possono produrre fenomeni inattesi.
Così è accaduto che, mentre i finiani hanno fatto di questo voto un’occasione per agitare una volta di più la bandiera della legalità in chiave anti-berlusconiana, dichiarandosi a favore dell’uso di quelle intercettazioni illegalmente raccolte, nel segreto dell’urna la richiesta è stata respinta. Non solo grazie al voto contrario di altri esponenti dell’opposizione (Udc e forse anche Pd), ma anche grazie al fatto che quella linea di faglia divide al loro interno anche i finiani.
D’altronde è abbastanza comprensibile che non tutti i parlamentari di Futuro e Libertà vogliano orientare le loro scelte in base agli umori di un ex retino come Fabio Granata o di Giulia Buongiorno, avvocato personale di Gianfranco Fini, alla quale si può certo attribuire un sovrappiù di animosità verso gli ex compagni di partito. Specie dopo le ultime rivelazioni monegasche.
Così il “colpaccio” dei finiani è fallito e la saldatura con l’opposizione si è mostrata inefficace, mostrando anzitempo che i pallottolieri, i numeri, le firme, le adesioni per quanto gratificanti si scontrano sempre con la sostanza della politica. Il voto di oggi dice che l’inviolabilità delle conversazioni di un parlamentare resta un principio non negoziabile anche nel clima di mercanteggiamento di questi giorni e che la legalità resta un valore condiviso finché non la si trasforma in un’arma contro gli avversari.
Fonte: l’Occidentale
{jcomments on}