Da qualche tempo Umberto Bossi sta cercando di costruirsi (con l’efficace aiuto dei suoi) l’immagine del vecchio saggio.
Colui che parla poco, ma quando parla lascia il segno. L’uomo da cui si va in cerca di vaticini sul futuro della politica, a cui si chiede di dirimere questioni spinose, al quale si offrono sacrifici in cambio si consigli e sostegno.
E’ una strategia che quasi sempre funziona e che ha messo Bossi su una specie di piedistallo, da quale, anche grazie all’assoluta obbedienza e devozione dei suoi sottoposti, pare impossibile scalzarlo. A Bossi e alla sua saggezza rendono omaggio (qualche volta interessato) anche gli uomini della sinistra, firme illustri del giornalismo, salotti buoni. Insomma la trasformazone dalla fase celodurista a questa versione quasi oracolare del bossismo, sembra pienamente compiuta.
Il problema sorge quando nel bel mezzo di una rappresentazione oracolare rispunta senza controllo il riflesso celodurista. Un po’ come il braccio teso del dott. Stranamore. Allora l’effetto di spiazzamento è amplificato, perché siamo meno abiutati alle sparate di Bossi, alle sue battuttacce, quelle che per un lungo periodo Berlusconi doveva difendere con un imbarazzato: “che volete, è fatto così…”. Nella bocca di un vecchio saggio delle infantili bestialità suonano come un sinistro boato.
Così quando oggi Bossi dice che per lui SPQR vuol dire “sono porci questi romani” e che il Gran Premio di Roma (che a noi fa orrore ma questo non conta) dovrebbe farsi con le bighe, in un attimo manda all’aria mesi di lavoro e di accurato maquillage. Per quanto vecchio e saggio, meriterebbe un cappello da asino e mezz’ora dietro la lavagna.
Fonte: lOccidentale