L’inquietudine istituzionale di Giorgio Napolitano è più che comprensibile ma a doppio taglio. Il presidente della Repubblica vede nel «Lodo Alfano» 

una torsione del proprio ruolo: di fatto, un colpo alla sua autonomia perché sottopone al giudizio del Parlamento la sospensione di un eventuale processo al capo dello Stato; e per di più a maggioranza semplice e su reati non previsti dalla Costituzione. Ma esprimendo le sue «profonde perplessità» su questo punto finisce per sottolineare che la legge riguarda solo il presidente del Consiglio. Di più, fa capire che sarebbe tagliata su misura per Silvio Berlusconi.

La reazione del premier che annuncia di voler ritirare la legge sostenendo di non averla voluta lui è una risposta in tempo reale al Quirinale; e probabilmente la presa d’atto che da ieri il Lodo è in un vicolo cieco. L’impressione, d’altronde, è che Napolitano abbia toccato in modo esplicito un aspetto; ma forse sia silenziosamente preoccupato dalla possibilità che il «lodo» preparato dal ministro della Giustizia, Angelo Alfano, sia reiterabile: e cioè sospenda i processi a carico del premier anche nel caso in cui passasse in futuro da Palazzo Chigi alla presidenza della Repubblica. Insomma, sembrano intrecciarsi riserve giuridiche e strategie quirinalizie. Proprio per questo, però, il contrasto finisce per apparire soprattutto politico. E costringe a valutare l’irritualità della mossa presidenziale ed i suoi potenziali contraccolpi.

La sensazione è che l’iniziativa di Napolitano abbia colpito al cuore un provvedimento sul quale il centrodestra sta faticosamente costruendo un’intesa con la minoranza di Gianfranco Fini. Ed arriva a sorpresa, con la lettera al presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini: missiva nella quale il capo dello Stato ribadisce che non vuole occuparsi di leggi costituzionali o di iniziativa parlamentare. Il fatto che però dica di sentirsi costretto a farlo drammatizza lo scontro fra il governo e l’opposizione. E, dopo la reazione di Berlusconi, mantiene la trattativa in materia di giustizia sul binario della precarietà e dell’incertezza.

Ritorna il rischio di proiettare nuove ombre sul tentativo di evitare una crisi di governo ed elezioni anticipate. Fini si ritrova esposto alle critiche del suo movimento, già irritato per le concessioni al premier; ed il Quirinale viene applaudito dalle opposizioni. Dalla freddezza del centrodestra e dallo scarto berlusconiano si indovina un’irritazione profonda. Si parla di modifiche affidate al Parlamento, accogliendo formalmente le obiezioni presidenziali. Ma la risposta vela un’indiretta accusa di sconfinamento nei confronti di Napolitano.

Proprio ieri il leader dei centristi, Pier Ferdinando Casini, ha evocato un governo politico in caso di caduta di Berlusconi, senza peraltro escludere il voto anticipato. Significa che la stabilità resta in bilico nonostante i tentativi di puntellarla. Nessuno è in grado di prevedere e di controllare l’esito di un’eventuale rottura. Si può solo registrare l’altalena sfibrante alla quale è sottoposto il governo. Per il momento, ha come unica conseguenza certa il suo ulteriore logoramento. Forse, con la disponibilità a ritirare il Lodo, Berlusconi pensa di arginarlo.

 

 

Fonte: www.corriere.it

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