Il messaggio che Michael Hirsh, provocatorio reporter del Newsweek, vuole lasciare trapelare dal pamphlet recentemente pubblicato, “Capital offense“, è semplice: la crisi del 2008 si è verificata perché Keynes aveva ragione e Friedman aveva torto.

Il mercato può fallire ed effettivamente è fallito, lo abbiamo visto tutti.  Eppure oggi, in questi giorni di claudicante ripresa, egli è perplesso del fatto che molte delle persone che hanno lasciato che la catastrofe imperversasse, sono adesso tornate a “condurre lo show”. Nessuna nuova idea è emersa per riempire il vuoto concettuale lasciato nell’economia, continua Hirsh. E, dunque, assistiamo a un mercato che domanda nuovi contenuti, nuovi costrutti di pensiero laddove, invece, dal lato dell’offerta rimangono seri ostacoli alla loro affermazione pratica.

Eppure la soluzione è tremendamente facile, sta sotto gli occhi di tutti: qui servono le donne. Alcuni lo avevano già preconizzato, come i norvegesi, i quali, sin dal 2006, hanno cominciato a imporre per legge che almeno il 40% dei board delle società pubbliche sia riservato al gentil sesso. Le donne, infatti, possono portare una ventata di freschezza e di energia nelle imprese. Studi mirati hanno da sempre sottolineato le capacità innovative, il dinamismo, l’elasticità e lo spiccato intuito delle donne, tuttavia i posti chiave nei centri economici e decisionali del Bel Paese rimangono saldamente riservati agli uomini. Non solo: le donne sono anche politicamente sottorappresentate visto che, pur essendo in maggioranza nel corpo elettorale, fra Senato e Camera dei Deputati contano rispettivamente il 18 e il 21%.

Ma non era grazie a loro che la Rivoluzione francese era riuscita ad abbattere le roccaforti dell’assolutismo per conquistare pari diritti e pari libertà? Del resto, è logico, conquiste ardue sul piano formale possono rivelarsi al limite dell’utopico sul piano sostanziale. Lo zeitgeist, lo spirito del tempo, è duro a morire, anche dopo una rivoluzione. Se certi incarichi, certe occupazioni sono ancora oggi considerate tipicamente maschili, sarà difficile modificare l’opinione corrente introducendo “quote rosa” che, anzi, possono provocare effetti opposti, risentimenti, financo discriminazioni inverse.

Malgrado ciò, vengono quotidianamente fatti passi in avanti. Un esempio fra tutti: dagli istituti di credito retail sauditi sono gemmate le “Ladies’ banks”, filiali gestite da sole donne nelle quali le stesse potranno tenere sotto controllo le proprie finanze, sfuggendo all’antica proibizione che impedirebbe loro di relazionarsi con uomini estranei, persino per le più futili incombenze. C’è chi ha parlato di segregazione, ma forse questo è l’unico modo per dare alle donne sufficiente indipendenza in un sistema che fino al 2004 richiedeva l’interposizione di un agente maschile, quasi una versione moderna e anacronistica della patria potestas.
E nel mondo certo non mancano esempi di donne che sono arrivate ai vertici del potere, oltrepassando ogni barriera: da Cynthia Carroll, CEO della Anglo American, la più potente donna del mondo nel 2010 secondo Fortune, all’unica italiana in classifica (dodicesimo posto), Marina Berlusconi, presidente della Fininvest. Senza dimenticare le donne che faranno storia, come la “cancelliera” Merkel o la first lady Obama.

 Sempre più Paesi, in differenti aree del mondo, sono rappresentati da un leader “con la gonna”: Cristina Fernandez, primo presidente donna eletto in Argentina, divenuta icona della lotta per l’uguaglianza in America Latina; Laura Chinchilla, presidente del Costa Rica, impegnata nella dura sfida contro la povertà secolare del suo Paese e i frequenti tafferugli di confine col Nicaragua; l’incantevole Rania, regina di Giordania, fautrice dell’avvicinamento fra Medio Oriente e Occidente o ancora Dilma Rousseff, che, finito il mandato di Lula, il prossimo 1° gennaio darà avvio alla sua presidenza del Brasile.

Questi casi di brillanti successi devono scalfire anche la mente degli italiani. Lo stesso Bill Emmott, ex direttore del settimanale “The Economist”, si lamenta del fatto che nel giornalismo europeo ci sono meno donne al vertice che in America, deplorando la nostra attitudine maggiormente “conservatrice” e tradizionalista. È ora che le discriminazioni finiscano e che alle donne si diano serie possibilità di far carriera, allo stesso modo degli uomini. Perché è solo con l’esperienza e con la gavetta, e non con le quote rosa, che si crea una classe dirigenziale femminile di tutto rispetto e capace di sbaragliare la concorrenza in cravatta.

Giampiero Carlo Cantoni, classe 1939, senatore del Popolo della Libertà, è un dicente di economia internazionale presso l’Università Bocconi di Milano e un esperto del settore bancario. Attualmente presidente della Fondazione Fiera Milano ha presieduto la Banca Nazionale del Lavoro dal 1989 al 1994.

Fonte: laRepubblica

 

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