I “pacifisti” dei centri sociali ad ArcoreForse, un giorno, noi della destra italiana ci pentiremo di avere votato e sostenuto un uomo che andava a mignotte. 

Forse. Ma di sicuro non avremo sulla coscienza gli assalti partigiani alle case private. Come quello andato di scena ieri ad Arcore. Dieci, cento o mille – poco importa – i barbari di Arcore hanno fatto toccare alla nostra democrazia il fondo. Peggio di tutti i casi Ruby e le telenovele della Minetti. Mai nella storia italiana, dopo il fascismo, si erano visti tentativi di inquietare la vita personale di un uomo politico.

I barbari sono quasi arrivati alle porte della casa di Berlusconi, come un’orda capace di intimidire, minacciare, ricattare. Che si sia arrivati tanto in basso, non stupisce. A cominciare a dare il buon esempio sono stati certi funzionari dello Stato: i bruti liberati della procura di Milano. Non mi pare ci sia da aggiungere altro: siamo all’alleanza tra una specie di fascismo in toga e l’arcinoto fascismo rosso. Se ne usciremo vivi, dotati ancora di un senso civile equilibrato e umano, di un’aria sociale respirabile, questo lo dovremo alla forza degli uomini che in questi anni – rischiando con la loro propria persona – stanno difendendo quel che resta del barlume della nostra vita civica.

Le intercettazioni a strascico, l’uso persecutorio e totalitario dell’inchiesta giudiziaria, lo sputtanamento a mezzo stampa, l’invenzione della notizia a fini politici e l’uso dell’ironia a scopo ideologico, la costruzione viscerale del nemico della democrazia: si tratta di mali da cui il nostro dibattito pubblico non si libererà facilmente. Un giorno, forse, guarderemo tutto questo con un respiro di sollievo, pensando che il tempo del pericolo è passato. Ma oggi – se liberale ha ancora un qualsiasi senso spendibile – non si può essere allo stesso tempo liberali e assistere immobili allo svuotamento assoluto delle istituzioni di civiltà del nostro paese. Rispetto a tutto questo le feste notturne del caravanserraglio di Arcore – se mai sono esistite – non sono nulla.

La marcia verso villa San Martino è molto peggio, è il gioco ridicolo ma pericoloso di chi tenta di riprodurre il suo vecchio mito d’adolescenza: la presa del Palazzo d’Inverno.(lOccidentale)

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