Cosa resta del padre? Bella domanda, nel giorno della festa del papà, che arriva pochi giorni dopo la festa dell’unità d’Italia. E se la festa del papà coincidesse in qualche modo con la festa dell’unità della famiglia? Non sarebbe male, tutto sommato, dopo anni di disgregazione. 

Ammesso che qualcuno ci spieghi che cosa resta di quello che tutti gli esperti sono concordi nel considerare ormai da tempo l’anello «critico» del nucleo familiare. Letteralmente: critico. Ecco dunque arrivare opportunamente in libreria, edito da Cortina, il saggio di Massimo Recalcati, proprio con quel titolo: «Cosa resta del padre?» La tesi da cui si parte è che i genitori sono oggi più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli, più ansiosi di proteggerli che di sopportarne i conflitti. Il che vale a maggior ragione per i padri, anzi, si potrebbe tranquillamente essere più radicali di Recalcati affermando che la funzione educativa viene sempre più spesso demandata alla madre, la quale si sobbarca non solo quel che tradizionalmente era suo compito (la gestione della casa) ma anche quel che un tempo veniva condiviso con il marito: l’educazione dei figli. Insomma, mentre la madre ha moltiplicato le proprie funzioni, il padre si è sottratto a quasi tutto. Tanto più se si aggiunge alla figura materna il compito di contribuire, con il marito, al sostentamento economico della famiglia: altro che 27 ore di lavoro!

A proposito di 27 ore. Come le nostre lettrici (e i lettori) sanno, si è aperto qualche giorno fa nell’on-line del Corriere un blog intitolato «La ventisettesima ora», dove la domanda posta da Recalcati ha raccolto risposte piuttosto interessanti, in cui si mettevano in campo le distanze imposte spesso e volentieri dal lavoro, le difficoltà di imporre un divieto in una società che sembra concedere troppo come la nostra, la divaricazione anagrafica crescente tra genitori (tardivi) e figli, gli ostacoli «epocali» nei rapporti tra generazione e generazione.

Il punto-chiave del libro di Recalcati è proprio questo: l’eredità. Cioè la capacità di trasmettere il desiderio da una generazione all’altra. E proprio in questa prospettiva va elaborato quello che ai più appare come un fenomeno fatale e persino inevitabile: la dissoluzione dell’autorità paterna. Il padre, osserva Recalcati (che è uno dei più noti psicoanalisti lacaniani), non è più Padre con la maiuscola, cioè pater familias, e ogni tentativo di restaurare quel tipo di Ordine o Legge non può che risultare oggi fallimentare. Dunque, che cosa resta del padre? O meglio che cosa resta al padre (con la minuscola)? Resta la possibilità di testimoniare ai figli passioni, vocazioni, progetti, senza pretendere di proporre i modelli o i valori universali del passato.

«Ciò che il padre lascia al figlio – scrive Recalcati – non è una testimonianza ideale, perché la testimonianza autentica non è mai ideale». Non un modello esemplare o simbolico, ma la forza di un’esperienza viva e reale. Ciò non lo esime, ovviamente, dall’opporre dei no e quindi dall’affrontare il conflitto, indispensabile alla crescita e alla maturazione dei figli. Recalcati, dedica l’ultimo capitolo del suo saggio (a tratti volutamente provocatorio) alle figure paterne in due film di Clint Eastwood, «Million Dollar Baby» e «Gran Torino». Vi ricordate il rapporto tra il vecchio pugile-allenatore e la figlia «adottiva» Maggie Fitzgerald, destinata a diventare campionessa? Era una delle più struggenti parabole della paternità del nostro tempo: sul valore di ciò che si trasmette alle giovani generazioni, sulla ricerca di un equilibrio tra eccessiva paura e troppo coraggio.(tratto da : corriere della sera)

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