Associazione per delinquere finalizzata alla riduzione e mantenimento in schiavitù, minacce ed estorsione.
Sarebbero queste le ipotesi di reato di un’ inchiesta aperta dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce sullo sfruttamento degli immigrati impegnati nella raccolta di angurie e pomodori nei campi del Salento. A dare avvio alle indagini sono state le numerose denunce presentate nelle scorse settimane dai lavoratori a polizia e carabinieri di Nardò. In molti, infatti, sono riusciti a sconfiggere la paura e a trovare la forza per denunciare gli sfruttatori. Tante le storie che dal sud del mondo convergono nel basso Salento, fino alla tendopoli realizzata nella masseria Boncuri, alle porte di Nardò, che ospita oltre 400 persone.
Storie come quella del camerunense Ivan, 26 anni, studente d’ingegneria al Politecnico di Torino, che per pagare le tasse universitarie è arrivato a Nardò per raccogliere i pomodori, subendo ben presto minacce di morte. Lui ha sconfitto ogni timore, divenendo il leader di una protesta contro lo sfruttamento. La storia di Ivan e di tanti altri come lui si è trasformata in atti giudiziari e denunce, poi confluite nel fascicolo di cui è titolare lo stesso procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, coadiuvato dal sostituto Elsa Valeria Mignone. Si tratta di un’indagine ancora agli albori, su cui la procura mantiene il più stretto riserbo, anche se alcuni nomi potrebbero essere già stati iscritti nel registro degli indagati. Nomi di presunti «caporali», figure chiave di ogni business del lavoro nero nei campi, elementi di raccordo tra gli sfruttatori e gli sfruttati. Alcuni di loro sarebbero già stati segnalati dagli immigrati e identificati dagli inquirenti. Nelle denunce si dipana un sistema già visto altre volte sotto il sole della Puglia, ad esempio tra l’oro rosso dei pomodori del foggiano.
Cambiano le latitudini e le provenienze geografiche, ma la sostanza rimane la stessa. C’è chi si occupa, promettendo un lavoro regolare e ben retribuito (con tanto di vitto e alloggio) di attirare gli immigrati. Spetta ai caporali poi, a suon di minacce e di mazzette, creare le squadre di raccolta. Turni spesso massacranti, con una paga misera (cui va sottratta la quota per il trasporto fino ai campi e quella per il cibo) o addirittura inesistente. Chi si ribella finisce per essere cacciato o minacciato. Ipotesi ora al vaglio della magistratura, mentre prosegue la ribellione dei braccianti immigrati di Nardò che da giorni sono in sciopero per protestare contro lo sfruttamento e per chiedere paghe adeguate e interventi per eliminare il caporalato dalle campagne. È atteso per lunedì un tavolo in prefettura, da cui dovrebbero scaturire nuovi provvedimenti a tutela dei lavoratori. Intanto non si fermano gli sbarchi sulle nostre coste. Un gruppo di 21 immigrati clandestini (20 pachistani e uno del Bangladesh) è stato rintracciato dagli agenti del commissariato di polizia di Otranto a circa dieci chilometri a nord del paese. Gli extracomunitari, presumibilmente giunti a bordo di un natante, sono stati condotti al centro di prima accoglienza Don Tonino Bello dove sono stati rifocillati, sottoposti ai controlli sanitari e identificati prima di essere trasferiti al Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari. La speranza è che non diventino merce umana destinata al lavoro nero.(tratto da Corriere.it)