In fondo era destino. Se al Ciocco, piena e selvaggia Garfagnana, Giovanni Pascoli venne a comporre e intonare
i suoi Canti di Castelvecchio tra cavalline storne e gelsomini notturni, ottant’anni dopo ancora e sempre canzoni il Ciocco emanava. Ma stavolta risuonavano basso-chitarra-e-batteria. Stavolta, era rock ’n’ roll.
«All night long! – all night – All night long! – all night» cantava Lionel Richie. Era il primo video trasmesso da quello strano animale battezzato Videomusic, comparso sugli schermi nella notte tra l’1 e il 2 dell’aprile 1984: la prima televisione musicale europea, risposta made in Lucchesia all’americana Mtv, di cui in questo agosto 2011 si celebrano i trent’anni dalla nascita. Videomusic, una lunga canzone che durò per un decennio o poco più, sacrificato sull’altare del business e dei castelli di sabbia tele-terzopolisti.
Videomusic è un ricordo, piuttosto lontano, ma ugualmente forte. Sarà l’effetto nostalgia, ma dopotutto è una specie di Oscar alla carriera, o forse alla memoria, il culto che circonda la vecchia tv con la V blu e la M verde: su internet sopravvive a opera dei fan il tesoretto di vecchie clip, programmi, registrazioni delle dirette dei concerti, riprese che fecero scuola in Italia, i primi veejay che rispondevano al nome di Red Ronnie, Marco Baldini, Paola Maugeri. Una collezione a base di Roxy Bar, Viruzz, Dottor Futuro, Colorage, Protezione Zero. Ma oltre alle tracce del tempo che fu, val la pena riandare a quell’epoca di “antenna selvaggia” e di televisione private che spuntavano un po’ ovunque, di pretori che spegnevano e di improbabili broadcaster che riaccendevano, insomma a quell’immenso orto botanico di abusivismo creativo in cui crebbe più grande e ramificata di tutte la gran pianta Fininvest del Berlusconi, che dismessi mattone e cemento erigeva un potere imponente e immateriale sui tubi catodici dell’Italia tutta, pioniere prendi-tutto della tv commerciale, alternativa all’arma bianca del servizio pubblico Rai.
E naturalmente in quella affamata corsa al video-eldorado cominciata già nei Settanta da spiriti liberi e animali, efficacemente chiamati Mucchio selvaggio da Giancarlo Dotto e Sandro Piccinini che ne hanno raccontato l’epopea per l’editore Mondadori, non fu estranea la gauche, per quanto non intruppata e indipendente. Ne è un esempio proprio Videomusic, fondata dalla famiglia Marcucci, il cui capofamiglia Guelfo certo era tutt’altro che progressista, ma i cui giovani eredi Marialina e Andrea avrebbero fatto poi l’una l’assessore e la vicepresidente della rossa Toscana nonché l’editore dell’Unità dal 2002 al 2009, e l’altro il senatore del Partito democratico (in carica).
«Certo è che la sinistra non ci capì nulla, allora», ricorda Marialina Marcucci. «Il pensiero del Partito comunista era tutto diretto alla Rai 3 ottenuta nel 1978. E poi con il Biscione fu fatto un tacito patto per cui in cambio della creazione del polo privato veniva garantito il pacchetto pubblicitario, quantificato in circa 200 miliardi, sul locale, dove la presenza di tv di sinistra era molto forte. Fu pura miopia politica. Purtroppo, vent’anni dopo, l’emittenza locale ha un rilievo dignitoso ma secondario, mentre anche grazie alle sue tv Berlusconi è diventato capo del governo».
In quella galassia popolata di sognatori, ciarlatani, pirati, geniacci, imbonitori e minime star in carne ed etere, «la spinta vera fu cercare di fare qualcosa di innovativo», racconta la Marcucci. «Volevamo parlare a quel pubblico tra i 18 e i 35 che nella televisione di allora era del tutto ignorato, il contrario di questi anni in cui è considerato la fascia più appetibile dai pubblicitari. Allora c’era nulla per loro. Avevamo campo libero. Ma come fare per acciuffarli? I film? Impossibile, troppo care le royalties. Lo sport? E chi ci dava i soldi per i diritti? Restava la musica, il rock, la lingua universale dei giovani di tutto il mondo. Avevamo finalmente la chiave per sfondare».
E pensare che tutto cominciò così, per caso. I Marcucci avevano un’azienda farmaceutica con stabilimenti in varie parti d’Italia: Lucca, Napoli, Rieti, Pisa. Volevano collegare le fabbriche. E misero in piedi dei bei ripetitori. Poi qualcuno gli disse che quegli impianti potevano essere sfruttati per un business facile facile: trasmettere il segnale delle emittenti straniere. Primo passo nel mondo tv. E intanto tutt’intorno sbocciavano le locali. Così anche ai Marcucci venne voglia di provarci, e ci provarono: nacque Elefante Tv. Sempre da lì, sempre dal Ciocco. Poi il salto di qualità: raggiungere tutta l’Italia al ritmo dei quattro quarti del rock. E nacque Videomusic.
«Ma per favore non diteci che la nostra era Mtv all’italiana. A parte che quello era un fenomeno lontano, addirittura al di là dell’Oceano, e quindi sostanzialmente assente sulla nostra scena. Ma poi la loro programmazione era molto controllata dalle major discografiche che la usavano come canale promozionale. Mtv mandava i video solo dei cantanti bianchi, l’America allora era così, e noi invece addirittura inaugurammo la nostra programmazione con la hit del momento di un cantante di colore come Lionel Richie. E poi parlavamo di università, di disagio giovanile, dei mali urbani. La nostra idea era puntare molto sulle news». A dirigere il telegiornale, che cominciava con un semplice “ciao” al posto del canonico “buongiorno”, c’era Daniela Brancati, prima donna al vertice di un tg nazionale, e che avrebbe poi diretto il Tg3; dopo la Brancati arrivò Tana De Zulueta, giornalista del settimanale Economist, poi senatrice per due legislature con i Ds.
Il gioco cominciò sin da subito a funzionare, al punto che nell’88 il gruppo Marcucci al primogenito montanaro della Garfagnana aveva aggiunto anche un fratellino metropolitano nato a Londra, chiamato Super-Channel, dribblando tra grossi player internazionali come Robert Maxwell e Rupert Murdoch. L’esperienza inglese durò fino al 1993, quando il canale fu venduto all’americana Nbc.
Giù in Lucchesia intanto Videomusic continuava a macinare musica e quattrini, ma nel volgere di pochi anni per VM arrivò il tempo triste. All’orizzonte si stagliava un aspirante tycoon di razza fiorentina, erede di un impero cinematografico che con Berlusconi voleva competere nella grande emittenza privata: Vittorio Cecchi Gori. Vittorione si divideva tra Roma e Los Angeles per il business del grande schermo, possedeva sale in tutta Italia e una scuderia di attori e registi che le riempivano a ritmo continuo, in più aveva un seggio al Senato col Partito popolare italiano. «Non so se fu la politica a chiedergli di fare il terzo polo televisivo, o se era un’ambizione tutta sua. Di certo Videomusic praticamente morì. Se sbagliammo a vendere? Questo pensiero ci ha perseguitato per anni. Ma alla fine era la scelta giusta: per competere davvero sul mercato pubblicitario ci volevano risorse che noi non avevamo. Piuttosto che fallire, era meglio cedere, sperando che altri con più soldi avrebbero proseguito l’opera». Ma a Cecchi Gori della musica non importava nulla, in breve il palinsesto fu stravolto dando spazio a film e serial. Il canale assunse un tratto generalista, il logo pochi anni dopo fu sostituito. Videomusic era scomparsa, per sempre.
Ma questa storia di Garfagnana che tocca e che intreccia le avventure e disavventure di pezzi d’imprenditori della stazza di Berlusconi o Cecchi Gori, l’uno salito addirittura a Palazzo Chigi e l’altro precipitato nel fallimento e oggi agli arresti domiciliari, resta fra le più intense e significative di quell’Italia televisiva e garibaldina, all’assalto della Frontiera del Quinto potere, guascona e disposta a ballare sul filo della legge purché l’impresa si facesse, creativa e affarista, un po’ pioniera un po’ cialtrona.
Il Ciocco, da cui tutto partì, è sempre là. Oggi è una mega struttura ricettiva. Auditorium, wellness & spa, sale da matrimoni, «vista magnifica sulle Apuane e la Valle del Serchio». C’è un albergo immenso. Si chiama Music Hotel. Ha 187 stanze: ognuna dedicata a una leggenda del pop. A volte è così, ci sono vecchie canzoni che non smettono di suonare. «All night long! – all night – All night long! – all night»… (IlRiformista)