Ore di attesa fremente, dai ministeri preposti, per il destino dei 620 dipendenti della Regione su cui è piombata, lo scorso dicembre, la mannaia della sentenza della Corte Costituzionale,
che ha bocciato il maxi-concorso del ‘99 perché privo della quota riservata agli esterni. Progressioni di carriera, poi, stabilizzate nel 2004 e inquadrate a pieno titolo (si tratta per gran parte di funzionari direttivi, cioé responsabili dei procedimenti) al «volante» della macchina amministrativa. Macchina che, ora, rischia di cadere nel baratro.
Per oggi il presidente del consiglio regionale Onofrio Introna ha fissato l’ufficio di presidenza e predisposto una riunione con i capigruppo, mantenendo le porte di via Capruzzi aperte alle segreterie Cgil, Cisl e Uil per un incontro cui ha assicurato la sua presenza, prima di partire per Bruxelles, il governatore Nichi Vendola. Il tutto nella speranza che già oggi da Roma arrivi un responso sulla legge-sanatoria da varare in Aula a stretto giro, auspicabilmente – dice Introna – oggi o al massimo la prossima settimana. Le retrocessioni per quei 620 funzionari, infatti, sono già vigenti e c’è il rischio che dal mese prossimo tutto l’Ente Regione salti per aria, senza contare la decurtazione di stipendio per i dipendenti.
Sinora è arrivata la piena disponibilità dal ministro agli Affari regionali Raffaele Fitto, ma si è ancora in attesa di un sì o un no dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta e dal titolare dell’Economia Giulio T remonti. La strada legislativa è strettissima: la manovra finanziaria di luglio, infatti, impone alle Regioni di adempiere alle sentenze della Consulta e, dunque, va trovata una soluzione che da un lato non strida con quella sentenza e dall’altro consenta alla Regione l’indispensabile continuità amministrativa. Il tutto concertando col governo la norma per evitare, appunto, nuove impugnative dinanzi alla Consulta. L’auspicio di Introna è che si arrivi ad una sorta di «condono tombale», ma appare più probabile una sanatoria temporanea in attesa di espletare nuovi concorsi «aperti» – come richiede la Consulta – per quelle 620 posizioni. Una norma che, contemporaneamente, faccia salvi i diritti acquisiti per evitare retrocessioni e decurtazioni di stipendio. [b. mart.]- (tratto da LaGazzettadelMezzogiorno)