Ringrazio i cittadini, le autorità presenti, i rappresentanti delle Forze Armate, le associazioni combattentistiche, la Polizia di stato, i Carabinieri, i bambini e i ragazzi delle scuole cittadine, i loro dirigenti e i loro docenti per la partecipazione a questa manifestazione.

Ringrazio la Polizia municipale di Nardò e tutti coloro, amministratori e dipendenti del comune, che con la consueta passione e con grande senso delle istituzioni, si sono adoperati per la riuscita di questa giornata.

Intanto, sono passati cento anni. Cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale, terminata nel 1918.

Il 4 novembre è la data simbolo di una vittoria costata sacrifici, lutti, sangue, mutilazioni. E’ la data dell’armistizio di Villa Giusti che sancisce l’affermazione dell’Italia sull’Austria, chiude la lunga vicenda delle guerre per l’indipendenza del nostro paese, saluta l’ingresso trionfante della nostra marina a Trieste.

Ma che guerra che era stata! Gli studi basati sui dati ufficiali stimano in 651.000 i militari italiani caduti nel conflitto. Almeno 3.400 furono i civili uccisi in azioni militari. Se si aggiungono i morti civili a causa di malattie che la guerra contribuì a diffondere e che quel tragico periodo con il suo strascico di crisi, miseria, distruzioni impedì di curare, il bilancio dei morti supera il milione. Su una popolazione complessiva che era circa la metà di quella attuale: 35 milioni di abitanti.

Contadini, artigiani, operai immersi nelle trincee. Molti per non uscirne più vivi. Immersi nella spettacolarità atroce di un conflitto che seminava morte.

Molti soldati consegnarono ai loro diari, a taccuini di fortuna, a lettere spedite ai famigliari il racconto e le sensazioni di anni assurdi e di vite bruciate su un fronte crudele, su monti dalle cime spezzate da bombardamenti che parevano non finire mai, e le pendici ricoperte di neve impastata a cadaveri.

E’ da poco in libreria un volume di Antonio Gibelli che raccoglie le testimonianze dei soldati. Si intitola “La Guerra Grande. Storie di gente comune”, pubblicato da Laterza. Lo studioso Vito Antonio Leuzzi ne ha parlato domenica su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Ci sono i racconti veri. “Quanti ne morivano!”, scrive sul suo taccuino fradicio un giovane siciliano. E la sua testimonianza dà l’immagine della morte di massa: “Camminando per il monte per quanti morti e feriti c’erano per terra non avevamo dove mettere il piede”.

Fra quei caduti martoriati dalle schegge, sfigurati dalle bombe, massacrati dalle granate c’erano i nostri bisnonni, i nostri nonni, i nostri padri. I figli di questa Città morti in guerra perché l’Italia potesse essere unita, indivisibile, mai più sottomessa.

Oggi onoriamo la loro memoria, il loro esempio, il loro destino. Non esiste famiglia di Nardò che non abbia versato il suo tributo di sangue e sofferenze sui monti della Grande guerra.

Le ragioni della memoria spingono, in questo centenario, a ricordare anche altri “caduti”, i militari italiani fucilati, o decimati, eliminati con processi sommari o addirittura senza processo per essersi ribellati o per episodi di pazzia. Soldati uccisi dai plotoni di esecuzione delle nostre truppe.

E’ considerata l’ultima ferita della Grande guerra. I morti per “fuoco amico”. 750 militari fucilati con processo sommario, spesso senza alcun processo, per diserzione o reati analoghi, 200 uccisi per estrazione a sorte, ne veniva estratto uno ogni dieci, per dare l’esempio a reparti che non s’impegnavano a sufficienza. Diverse centinaia di soldati italiani eliminati per ordine dei loro ufficiali per piccoli reati o per insubordinazione. I loro nomi non li troviamo sulle lapidi dei caduti. In questi cento anni si è ritenuto di doverli confinare nel ghetto della vergogna. Si fucilarono solo soldati semplici, povera gente. Sono stati definiti “i ragazzi della mala morte”. Fra questi quattro ragazzi del battaglione alpini Tolmezzo. Vi erano nel battaglione molti giovani coi cognomi mezzo tedeschi, e gli alti comandi italiani non si fidavano di loro. Insistevano così ad utilizzarli in azioni suicide, mandandoli a morte sicura in operazioni estreme. Come quando fu ordinato loro un attacco alle rocce del Cellon, in pieno giorno e senza la copertura dell’artiglieria. La cima era occupata dalle truppe austriache che dall’alto avevano straordinaria facilità a fare fuoco, eliminandoli come birilli, sui nostri soldati, comodi bersagli sui ripidi fianchi del monte. Voleva dire mandare al macello l’intero battaglione. Alcuni soldati suggerirono di rinviare l’assalto alle ore della notte, così da poter confidare almeno nell’oscurità. Ma tanto bastò per spedirli davanti alla corte marziale. Il processo durò poche ore. In quattro furono fucilati prima dell’alba. Fra loro il caporale Angelo Massaro, un emigrante in Germania, rientrato “per servire la patria”. “Bel ringraziamento!”, gridò mentre gli puntavano contro i fucili. Li confessò un prete che sconvolto rimase balbuziente a vita e non trovò più la forza di mettere piede nella chiesa dell’ultima confessione. Furono uccisi appena fuori la chiesa. A Cercivento, in Friuli, in provincia di Udine, la ferita è ancora aperta. Nel 1996 il sindaco del paese volle realizzare un monumento per ricordare quei ragazzi. Rischiò di essere denunciato per apologia di reato.

Da quest’anno anche la nostra Città ha un nuovo monumento.

E’ stato inaugurato lo scorso 23 luglio ed è dedicato alle vittime civili del bombardamento dell’aviazione statunitense su Nardò che causò 10 morti e 25 feriti. Era il 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale. Probabilmente per errore, o per cause che è difficile accertare data la scarsa documentazione disponibile, alle ore 13.30 due bombe furono sganciate sul territorio di Nardò, in località Cicirizzulu, nei pressi della stazione ferroviaria.

La vicenda viene ampiamente raccontata nella pubblicazione del professore Mario Mennonna e del generale Enrico Ciarfera, “Nardò. Vittime civili del 23 luglio 1943…non fu un pomeriggio qualunque” (Congedo Editore). L’area dove sorgeva la cosiddetta casa sgarràta, una casa quasi completamente distrutta dal bombardamento, è stata generosamente donata al nostro comune dalla famiglia Orlando- Fracella (Emilio Fracella fu tra le vittime).

E’ doveroso il ringraziamento della nostra comunità a tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione dell’opera e a tutti i componenti del comitato istituito dalla giunta municipale, del quale fanno parte, oltre ai rappresentanti dell’amministrazione comunale, gli autori del libro, l’avvocato Egidio Vergine, presidente provinciale dell’Associazione delle vittime civili della guerra, l’avvocato Elio Marra e la professoressa Emilia Fracella.

Una comunità è in grado di costruire il suo futuro solo se sa riannodare nella sua storia e nella sua anima il filo della memoria.

E’ difficile progettare il domani se pigramente ci si smarrisce in un presente vuoto senza la propria storia e senza le proprie radici.

E’ per questo che nella giornata del 4 Novembre la Città di Nardò rinnova il suo orgoglio per il sacrificio di tutti i suoi figli caduti.

Come, in conclusione, rinnoviamo l’apprezzamento della nostra Città per tutti i militari impegnati fuori dai nostri confini nelle diverse missioni all’estero in luoghi di crisi, e a coloro che operano sul territorio nazionale. Con un pensiero particolare ai nostri militari impegnati all’isola di Lampedusa, nella missione Mare Nostrum, una delle più grandi missioni umanitarie mai realizzate. Impegnati a salvare dalla morte e dalla sofferenza migliaia di migranti disperatamente sfuggiti alla tragedia e al dolore della loro terra. Quando le nostre Forze Armate diventano il simbolo e l’immagine della vita e della solidarietà, quando i nostri soldati esprimono con la loro azione, i loro gesti, il loro sacrificio i più alti sentimenti di umanità, sentiamo affermarsi i più nobili principi della nostra costituzione.

E’ in quei momenti che pensiamo: quanto è dolce la nostra Italia!

E sentiamo di poter ritenere che chi ha dato la vita per il nostro paese non l’ha fatto invano.

Viva le Forze Armate

Viva la Repubblica

Viva Nardò

Viva l’Italia