Lunedi 2 febbraio 2015 ore 16,30, aula consiliare del comune di Nardò iniziano i lavori della commissione ambiente sull’ormai arcinota questione della condotta sottomarina, una pagina buia scritta da questa amministrazione che rischia di avere un finale disastroso per Nardò. Risi alla presenza dei tecnici dell’Acquedotto Pugliese e redattori vari, cala il suo tris d’assi: il presidente della commissione ambiente Antonazzo, presidente e vicepresidente della consulta per l’ambiente, rispettivamente Graziano De Tuglie e Massimo Vaglio. Lui clamorosamente non si presenta!

Il presidente aggiorna i consiglieri facendo un excursus sullo stato dei lavori fino all’8 ottobre 2014, rileggendo gli interventi di allora di Raffaele Onorato (tutela paesaggio), Agostino Indennitate (NO TUB), Massimo Vaglio e Graziano De Tuglie. Successivamente invita l’Ing. Formoso a chiarire all’assemblea quali fossero le proposte di Regione e Aqp.

 

Quasi tutti presenti i consiglieri di maggioranza e minoranza che hanno dato battaglia rimanendo fermi sulle decisioni assunte nella delibera di C.C. del 28 maggio 2012 e note successive.

Via vai di assessori e tecnici nei corridoi e ufficio del sindaco, tensione alta si odono voci parecchio agitate, come se quello che si stava consumando nella commissione non riguardasse loro. Intanto dalla discussione appena avviata si apprende che gli interlocutori dell’Aqp erano presenti per rispondere della fattibilità dei cinque punti messi in atto dal documento tecnico da loro redatto e di cui nessuno era a conoscenza del loro contenuto. Fatto gravissimo, una amministrazione che rema contro se stessa? Per quali interessi, certamente non quello dei cittadini.

Come scrive nel suo articolo Cristian Casili del movimento cinque stelle:

“La Regione Puglia ha rimandato al mittente le proposte alternative prodotte in più step e consessi dall’amministrazione di Nardò, dalle associazioni ambientaliste, dal Comitato No Tub di Nardò, dai Comitati No Scarico a Mare Manduria e No Tub Avetrana, e dalle Commissioni e Consulte di Nardò, univocamente contrarie allo smaltimento in mare dei reflui provenienti dai depuratori cittadini e nella fattispecie nel mare di Torre Inseraglio.

Le proposte emerse nella penultima commissione, prevedevano che Porto Cesareo, che ricordiamo possiede circa 5.000 ettari di territorio la cui superficie agricola utilizzata non supera il 20%, abbia la possibilità di trattare in proprio i suoi reflui. Infatti, il territorio cesarino è costituito in massima parte da terreni degradati, pascoli cespugliati e terreni paludosi che si presterebbero ottimamente alla ricezione e alla fitodepurazione dei reflui del depuratore locale efficientemente depurati al massimo grado di affinamento (Tabella 4).

Per quanto riguarda Nardò, si prevedeva la depurazione dei reflui sempre al massimo grado di affinamento, la loro eventuale fitodepurazione e il loro utilizzo ad uso irriguo in agricoltura e che l’eventuale restante frazione venisse stoccata in bacini aventi come troppo pieno l’attuale scarico in battigia o la Vora delle Colucce.

Invece, la Regione Puglia con AQP, persevera nel proporre un insensato progetto, per altro già appaltato, che prevede la realizzazione di una condotta sottomarina di un Km di lunghezza attraverso la quale sversare nel mare di Torre Inseraglio i reflui in Tabella 1 dei Comuni di Nardò e Porto Cesareo.

Si fa presente che la classificazione Tabella 1 sta ad indicare il minimo livello di depurazione, trattamento che in pratica consiste nella sola eliminazione della parte solida e in una blanda disinfezione. Tale trattamento, paradossalmente se non effettuato in modo efficiente può portare ad una esponenziale elevazione della carica batterica invece del suo abbattimento. Tale circostanza, è comune nel caso di impianti di depurazione che come quelli in lettera sono a servizio di località con forti escursioni demografiche (variazione stagionale del numero degli abitanti equivalenti), ove è molto difficile per non dire impossibile effettuare una corretta taratura degli impianti.

Ragion per cui, si ritiene che il territorio neretino, già penalizzato dalla presenza di discariche, alcune delle quali mai messe in sicurezza, paghi già un pesante tributo in termini di impatto ambientale e che non sia più pensabile tollerare ulteriori interventi atti a peggiorare il già precario stato ambientale. Se vi fosse bisogno di rammentarlo, parte del territorio neretino costituisce bacino imbrifero e la relativa Vora delle Colucce è recettore dei reflui fognari di oltre venti depuratori anche consortili che vi affluiscono convogliati attraverso il torrente Asso.

Un principio fondamentale vorrebbe che se l’acqua è sporca non deve essere smaltita in mare, spostare lo scarico di 1 km non equivale ad un trattamento, ma sposta solamente il problema e peraltro in modo inefficacie, un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto.

L’ aberrazione, oltre che sotto il punto di vista ambientale, lo è anche sotto il profilo socio-economico, Nardò non può deteriorare una risorsa quale il mare che costituisce un cespite importantissimo della sua economia.

L’economia turistica neretina si basa infatti per oltre il 90 % su di un turismo di tipo balneare e inquinare la risorsa mare costituirebbe la più grande iattura. Ciò peraltro penalizzerebbe l’appetibilità turistica della riviera neretina e la porrebbe in una posizione di debolezza nei confronti di quella di Porto Cesareo.

Pertanto, si ritiene che l’affinamento in Tabella 4 e l’utilizzo in agricoltura siano le uniche strade percorribili, a sostegno di tale indirizzo anche le ultime tendenze agricole che guardano con grande interesse alla produzione di colture alternative no food, quali per esempio la canapa, le canne e i pioppeti, che si potrebbero realizzare rendendo irrigui i tanti terreni marginali altrimenti improduttivi.

Il governo Vendola in più occasioni ha ribadito il valore della risorsa idrica e lo stesso Vendola qualche anno addietro fu relatore a Bruxelles sulle strategie di recupero e riutilizzo delle acque reflue. Tale approccio è quanto mai necessario in un territorio sitibondo come il nostro che sconta danni irreversibili per l’ingressione marina nella falda acquifera a causa dell’eccessivo emungimento di acqua a scopi irrigui e che espone il nostro territorio a grave rischio desertificazione come per altro già denunciato dai CNR, il tutto con gravissime ripercussioni sulla nostra agricoltura.

La parola a Vendola che visto anche il minore costo delle soluzioni alternative proposte dovrebbe spiegarci il perché di questo radicale cambio di rotta, fugando i sospetti di pressioni da parte delle sempre più fameliche lobbies degli appalti e del cemento.”

Quindi come aver parlato al muro se i veri interlocutori erano a Bari e non nell’aula consigliare del comune di Nardò, infatti benché fosse stato invitato, come si evince dal documento di convocazione, il titolare dell’assessorato competente della Regione Puglia non si è presentato, senza uno straccio di giustificazione. Una amministrazione di sinistra che boicotta un’altra amministrazione di sinistra.

Pertanto ci chiediamo con chi i nostri amministratori delegati dal sindaco hanno interagito in questi mesi a tal punto da “pretendere” di restare assenti nei momenti salienti la seduta o peggio come ha fatto l’assessore alla cultura quasi in secondo piano rispetto alla sua proverbiale temerarietà nell’arte tuttologa?

E’ una questione di rappresentanza cari concittadini, siamo deboli e alla mercè di una regione che ha deciso impunemente di ridurre questo scorcio di territorio e il suo ambiente in un cesso! Chi sarà dei nostri amministratori a tirare la catenella?