Nardò, 6 febbraio_ Puntuale come un orologio svizzero, la fiction <<UNA DONNA CONTRO TUTTI – RENATA>>, andata in onda in prima serata domenica scorsa su Canale cinque, ha innescato virulente polemiche.

Dal 31 marzo 1984, non sono bastati due processi e le relative sentenze ormai definitive a sopire il derby su quanti ascrivono il delitto Fonte ad un omicidio abietto dovuto all’avidità di potere di uno squilibrato Spagnolo e gli altri che ritengono quest’ultimo essere un anello di una catena non disvelata di interessi speculativi che attingono l’area del Parco di Porto Selvaggio; derby  dapprima giocato sulla carta stampata e ora sui social network , circostanza che la dice lunga sull’incedere del tempo rispetto al tragico episodio.

Il nostro portale intende riavvolgere il nastro su una pagina di Storia cittadina così intensa e significativa e soprattutto dolorosa, riportando anche stralci della sequela dei commenti succedutesi in queste ore.

Partiamo dalle verità processuali.

La sentenza della Corte d’assise di Lecce, depositata il 16 marzo 1987 dal presidente Domenico Angelelli e dal giudice istruttore Luigi De Liguori poi confermata da quella della Corte d’appello (del 5 febbraio 1988) e da quella di Cassazione (dell’8 novembre 1988) attesta l’esistenza di un collegamento tra l’omicidio Fonte e l’area del Parco di Porto Selvaggio…

Ciò è di facile deduzione da uno stralcio della sentenza di primo grado che riportiamo fedelmente

 Ecco diciamo che le sentenze non hanno portato alla luce l’ignobile fauna di pseudo industriali, possidenti, imprenditori edili, benestanti che attraverso lo Spagnolo cercavano di realizzare sempre più grandi profitti….

Ma ancora a proposito di Porto Selvaggio, sempre la sentenza di primo grado:

I Giudici caducano l’obiezione per la verità ancora oggi portata avanti da molti presunti “ben informati” che Porto Selvaggio essendo (già) parco naturale era immune da speculazioni edilizie.

Dicono i Giudici, la tesi contraria non tiene conto delle <<italiche risorse>> ossia “…incredibili capacità di amministratori nostrani e delle loro cricche corporative di portare avanti piani di lottizzazione e insediamenti urbanistici (…) nonostante leggi e leggine, interrogazioni parlamentari, movimenti d’opinione ecc…”

  Insomma, la Tesi che lega il delitto Fonte ai destini di Porto Selvaggio pare suffragata dal ragionamento motivazionale del Giudice Penale della Corte d’Assise di Lecce; questo è un dato fattuale che può piacere o meno e che di fatto divide il parterre di opinionisti nostrani.

 Ancora una volta la piazza virtuale ha ospitato uno scambio di opinioni, post e thread nella pagina del sig. Marcello Tarricone si è consumato una vera e propria battaglia di commenti taluni al vetriolo e decisamente fuori le righe, quasi a testimoniare quanto caldo e dibattuto sia ancora oggi a 34 anni di distanza il caso Fonte.

Significativo il commento dell’autore del libro “La Posta in Gioco” il dott. Carlo Bollino che dopo una serie di lunghi commenti (Luciano Tarricone e Rino Giuri) avversi alla tesi del delitto legato a Porto Selvaggio osserva: “…Vedo che dopo così tanti anni la frattura tra chi credeva al ”movente Porto Selvaggio” e chi invece no, non è ancora risanata.

Certamente colpa di una inchiesta incompleta e di un’arroganza politica (e un po’ maschilista) che certamente a quel tempo fece molti tentativi per sminuire la figura di Renata a quella di una giovane ambiziosa rimasta vittima del suo protagonismo, alimentando in questo modo (invece che fugarli) i sospetti su un movente eccellente, quale certamente era l’ipotesi di Porto Selvaggio.

Io che indagai a lungo sull’omicidio di Renata Fonte per poter poi scrivere il libro ”La posta in gioco” ho sempre creduto alla pista di Porto Selvaggio, e all’esitenza di un quarto livello, entrambi ammessi anche nelle motivazioni di sentenza che hanno condannato i soli colpevoli identificati. Non è esatto come afferma Rino Giuri che la prima legge per la salvaguardia del parco naturale (votata prima della morte di Renata) metteva già al riparo dalle speculazioni. E’ vero invece il contrario.

Del resto proprio a ridosso di Porto Selvaggio identificai una lottizzazione in fase di approvazione quando Renata era ancora in vita, che riconduceva a personaggi politici vicini ad Antonio Spagnolo, cioè al mandante accertato. A riprova che i rischi di una edificabilità selvaggia capace di minacciare l’integrità del parco naturale non erano affatto fugati dalla legge regionale, ed era proprio contro quelli che Renata (insieme ad altri in verità) si stava battendo quando venne assassinata.”.

       Vi risparmiamo la sequela di altri commenti ciascuno orientato a portare acqua alla propria tesi interpretativa, sino a quando il proprietario della pagina quasi a chiusura del dibattito innescato riporta le parole pubblicate su altra pagina del marito della Fonte, che stigmatizza l’immagine data di lui e di Renata da parte degli autori della Fiction.

 Il noto thread del Sig. Attilio Matrangola ha dato origine ad altra sequela di commenti a parti da quello del sig. Roberto Galeani: “…Marcello, mi rendo conto che il Matrangola non possa leggere questo post, non avendo egli una pagina Facebook a lui riferita. Tuttavia, lo stesso Signor Matrangola si lagna che le figlie ad ogni piè sospinto promuovono la figura della madre, non perdendo occasione di apparire, partecipare alla promozione del pensiero di Renata Fonte. Probabilmente ne stanno facendo una ragione di vita se non di reddito, sfruttando l’immagine della madre. Condivido le lagnanze dell’ex marito della Fonte quando afferma di lasciare in pace la stessa ex moglie, perché ciò comporta “le conseguenti infinite polemiche.. che oltre a colpire le dirette interessate, coinvolgono incolpevolmente lo stesso Signor Matrangola”.

Ora, posso comprendere che l’ex marito di Renata Fonte voglia prendere le distanze dalla vicenda che lo ha visto, lo vede e probabilmente lo vedrà coinvolto, suo malgrado, in questa triste e dolorosa storia, ma a mio sommesso avviso il Signor Matrangola dovrebbe prendere le distanze dalle figlie, invitarle e diffidarle a non divulgare, promuovere l’immagine della madre, insomma, invitare le figlie a cambiare mestiere, trovarsi un’altra fonte di reddito, senza “speculare”, mi sia consentito, sulla morte della madre. In altri termini, è contro le figlie che il Signor Matrangola deve agire!

Ma come si può intraprendere un’azione contro il sangue del proprio sangue? Lei Signor Matrangola sembrerebbe essere vittima della sua ex moglie due volte, sia nel corso della vita trascorsa con lei che alla sua morte. È ovvio che deve prendersela con le sue figlie. Ma può arrivare a disconoscerle? Le auguro serenità e pace in questa nuova vita.”

Ecco che nella piazza virtuale ragionamenti più o meno ancorati alle verità processuali lasciano spazio a deiezioni semantiche ad insinuazioni fine a se stesse che vanno a colpire come schegge impazzite le persone più prossime a Renata Fonte le figlie.

 Le considerazioni scomposte provocano immediate reazioni, dapprima la figlia Viviana

Signor” Galeani è evidente che parla senza conoscere i fatti, tenere viva la memoria di nostra madre non è né un mestiere né una ragione di vita, anzi costa sacrificio impegno e tanto, troppo dolore. I film, i libri, le rappresentazioni teatrali, sono tutte espressione di volontà altre. Noi figlie se a volte abbiamo collaborato, senza mai essere pagate ( anzi andiamo a spese nostre a tutti gli incontri a cui ci chiamano, po’ verificare) è stato solo perché come nel caso della fiction, si sarebbero fatte comunque, anche senza il nostro consenso, e soprattutto senza che nessuno ci abbia fatto firmare una liberatoria, figuriamoci se poi sono diventate fonte di reddito come lei insinua.

Lo posso dimostrare! Se ho deciso di collaborare con la sceneggiatrice e’ stato solo per dovere di memoria, per fare la mia parte e tutelare anche mio padre (e mi creda le intenzioni del produttore erano molto più morbose). Io mi sono limitata a fornire il materiale a mia disposizione: il film di Carmine De Benedittis, il libro di Carlo Bollino, la sentenza e la rassegna stampa dell’epoca, e a mettere in contatto la sceneggiatrice con alcuni amici della mamma.

Le assicuro che tutto questo mi ha tolto il sonno perché ho rivissuto e rielaborato il lutto con la consapevolezza di una persona adulta e di una mamma quale ora sono. Io non conoscevo il prodotto finale, non conoscevo la sceneggiatura finale, figuriamoci il lavoro che come lei saprà in fase di registrazione, montaggio e post produzione cambia sostanza, ed ho vissuto con sofferenza tutta questa attesa, non sapendo cosa il film avrebbe prodotto e quali reazioni avrebbe scatenato. Io non le chiedo di credermi ma almeno di avere rispetto!”

 

A seguire l’avvocato Renna,   “…Galeani entrare in una vicenda dolorosissima, come quella che ha colpito la famiglia Matrangola – Fonte, dalla porta degli affetti personali, è operazione cinica e consentimi di dirti che raggiunge l’apice dello squallore con le accuse di speculazione rivolte alle figlie. Al posto di rinnovare la solidarietà a due ragazze, cresciute senza la sicurezza e il tepore dell’affetto materno si pensa bene da parte di Galeani, apertamente, e da tanti altri, celatamente, di lasciarsi andare a riflessioni “morbose”, che altro non sono se non un vilipendio oltraggioso della memoria e del dolore.

Sabrina e Viviana, loro malgrado, e al costo di enormi sacrifici personali combattono da quel triste momento una battaglia culturale accanto ai tanti e alle tante persone che come loro hanno visto il percorso della vita modificarsi per ragioni legate ad interessi criminali.

Renata Fonte era scomoda da viva per questo l’hanno ammazzata, ma continua ad essere scomoda (forse anche di più) da morta. Chi ad esempio si affatica a ricordare, in ogni occasione, che la legge del Parco è antecedente all’assassinio e a derubricare l’omicidio, contro le evidenze processuali, al frutto della bramosia di potere di uno squilibrato non fa un’operazione di verità ma consuma una mistificazione storica.

C’è una maggioranza pseudo-silenziosa in città, che vorrebbe lasciarsi alle spalle quella vicenda, perché e’ troppo scomoda ed imbarazzante, poiché getta un’ombra inquietante sulla città. Nardò che ha originato biografie politiche illustri all’apice del potere proprio in quegli anni non deve capire ma dimenticare. Infatti, cercare di capire se l’omicidio Fonte si debba ascrivere ad una rete di interessi e clientele del sistema socio politico della Nardò di quegli anni potrebbe implicare un revisionismo storico pericoloso, che metterebbe a rischio tante cose, fosse anche la sola toponomastica cittadina.. Allora meglio accomodarsi alla rassicurante certezza (per molti, non per tutti e soprattutto non per i Giudici) dello squilibrato avido di potere, esclusivo mandante del barbaro assassinio di Renata, io continuo a coltivare i dubbi e a credere nella battaglia delle figlie alla ricerca della verità, battaglia che rivendica rispetto e solidarietà.

Ogni tanto penso alla pedata divina invocata da Don Luigi Ciotti,sul palco di una Piazza Salandra semi vuota, durante la commemorazione del 30°anniversario dell’omicidio e continuo a pregare!!!….”

 Le considerazioni di Renna sono state più volte censurate da Luciano Tarricone che in precedenza si era confrontato con eguale solerzia con il Giornalista Carlo Bollino e che nel merito delle ultime osservazioni tuona cosi: “A seguire i ragionamenti perversi di Renna ce da pensare che mezza Nardò politica sia stata collusa con il malaffare. Leuzzi, Sasso, Tarricone, Mennonna, Zaca’, Manieri, Bonsegna…..etc…etc…..peccato che moralisti come Renna non si siano visti nelle battaglie prima Serracicora. Nelle scelte per l eolico e per la Sarparea stavano e stanno dalla parte di chi compromette quel territorio di cui si riempiono la bocca. E parliamo di un tempo recente….”

 Uno stillicidio di pesanti considerazioni che vedono evidentemente un approccio ai fatti completamente diverso tra i diversi partecipanti alla querelle virtuale, la nostra redazione vuole restare ai fatti e quindi ripartire dalle sentenze che come abbiamo scritto all’inizio di questo lungo articolo possono piacere e non piacere, ma rimangono pietre miliari nella storia.

La storia si può riaprire e chissà se a furia di parlare e riparlare della vicenda a qualcuno della Procura non venga voglia di approfondire filoni investigativi poco approfonditi nella prima istanza giudiziaria, che magari scrutinando delibere , progetti e proposte protocollate a ridosso dell’omicidio (prima e dopo) non riescano a fare emergere qualche dato interessante per dare nomi e cognomi a quel quarto livello cosi oscuro e cosi ingombrante per la storia della nostra città.

Ai posteri l’ardua sentenza e nel frattempo atteso anche il livore semantico di taluni le pedate invocate da Don Luigi Ciotti sembrerebbero davvero necessarie per riportare un po’ di serenità alla piazza virtuale e non.

 

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