Il Museo della Preistoria di Nardò arricchisce (http://museodellapreistoria.com/news/primitivus-manduriensis/) le notizie sullo straordinario ritrovamento del fossile di cui parla lo studio pubblicato qualche giorno fa sulla importante rivista Royal Society Open Science (al link http://rsos.royalsocietypublishing.org/content/5/6/172411) dal titolo A new fossil marine lizard with soft tissues from the Late Cretaceous of southern Italy.

Questa nuova specie – spiegano dal Museo – è stata determinata su un fossile ritrovato tempo fa in agro di Nardò e attualmente conservato al Museo dell’Università Sapienza di Roma. Lo studio è stato condotto da Ilaria Paparella, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Biologiche dell’Università di Alberta (Edmonton, Canada) e, fino a poco tempo fa, afferente anche al Dipartimento di Scienze della Terra, Sapienza Università di Roma. Gli esiti di questo studio evidenziano in modo eclatante il potenziale informativo delle formazioni sedimentarie di questo tratto costiero. Proprio tale potenziale ha da tempo condotto la studiosa a concentrare parte delle sue ricerche sull’area neretina avviando una collaborazione con il Museo della Preistoria di Nardò con il proposito di strutturare, in sinergia con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, un progetto di studio e valorizzazione dei depositi fossiliferi.

La nuova specie appartiene alla famiglia dei Dolicosauri, lucertole marine dal corpo allungato che vivevano nei mari del tardo Cretaceo. I Dolicosauri sono imparentati con mosasauri e serpenti, quello ritrovato a Nardò è il più recente rinvenuto finora. Prima della scoperta di Primitivus manduriensis si era convinti che il range cronologico entro cui si inseriva la presenza di questi rettili sul pianeta fosse quello compreso tra l’Albiano e il Santoniano (tra 110 e 85 milioni di anni fa circa), ma le rocce dalle quali proviene il nuovo esemplare risalgono invece al Campaniano-Maastrichtiano (70-75 milioni di anni fa circa). I Dolicosauri sono dunque sopravvissuti almeno 15-20 milioni di anni più di quanto fino ad oggi ipotizzato. Poiché questo esemplare non è stato ritrovato nel corso di scavi sistematici eseguiti da ricercatori, è difficile attribuirlo ad uno strato specifico e quindi databile con maggiore precisione.

La morfologia della coda, gli arti “palmati” e altre caratteristiche quali ad esempio il grado di ossificazione delle epifisi delle ossa, indicano che anche questo, come gli altri dolicosauri, era in grado di nuotare. Sulla base della conformazione della zona pelvica, molto ben conservata, è però possibile affermare che Primitivus poteva muoversi anche fuori dall’acqua. Gli studiosi ipotizzano che questi animali vivessero dunque in un ambiente semi-acquatico, un po’ come le attuali iguane marine. Normalmente i dolicosauroidi presentano un allungamento di diverse parti della colonna vertebrale, una caratteristica che li avvicina ai serpenti. In effetti anche l’esemplare neretino ha un numero elevato di vertebre, ad eccezione di quelle che si trovano in corrispondenza del tronco.

A rendere ulteriormente eccezionale questo esemplare è lo straordinario stato di conservazione. Oltre alle parti scheletriche, infatti, sono molto ben preservati anche muscoli e scaglie, cosa molto rara in un fossile. Le scaglie sono ben visibili in diverse parti del corpo, quelle di morfologia più allungata, presenti lungo la coda, sono molto simili a quelle che si osservano in parecchi serpenti. Infine, all’interno dello stomaco sono persino ben visibili i resti del suo ultimo pasto, un pesce ovviamente.

Tutti i dettagli di questo fossile hanno permesso all’artista Fabio Manucci di eseguire una ricostruzione dettagliata e assolutamente verosimile di Primitivus manduriensis, permettendoci più facilmente di immaginare anche gli ambienti che caratterizzavano le coste salentine e in particolare quelle neretine all’incirca tra i cento e i sessantasei milioni di anni fa.

In strati diversi degli stessi affioramenti calcarei negli anni ottanta del secolo scorso il prof. Lorenzo Sorbini trovò, e in parte pubblicò, una straordinaria collezione di pesci fossili; questa è in gran parte ancora conservata nel Museo di Scienze Naturali di Verona ad eccezione di 53 esemplari ora visibili nel Museo della Preistoria di Nardò. Altri pesci fossili provenienti dagli stessi affioramenti sono conservati invece presso il Museo dell’Ambiente dell’Università del Salento.

La costa neretina si conferma dunque sempre più come luogo privilegiato per comprendere e dettagliare la storia geologica, paleontologica e archeologica più antica e la ripresa delle ricerche in questi ambiti disciplinari è fondamentale per definire un corretto modello di valorizzazione.

“Questa ulteriore scoperta paleontologica di rilevanza internazionale – commenta l’assessore all’Ambiente e ai Musei Mino Natalizioè l’ulteriore conferma che investire nella ricerca come fonte di crescita culturale e di sviluppo sostenibile del territorio, sia stata una scelta appropriata e lungimirante. Nei prossimi giorni torneremo a sollecitare il Museo di Scienze Naturali di Verona, affinché rientrino a Nardò i fossili lì custoditi. In questo modo arricchiremo la preziosa collezione già ospitata nel Museo della Preistoria di Nardò”.

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Ultimo aggiornamento: 02/01/2025
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