Ho riflettuto a lungo sull’opportunità e sul senso di questo mio intervento e di questa nostra proposta. Ho ponderato ogni singola parola e voglio dire di essere orgoglioso di essere stato il primo a portare in Consiglio la proposta di intitolare quest’aula all’unica vittima di omicidio nel corso del suo mandato che la politica neretina, fortunatamente, abbia conosciuto.

Al sottoscritto, sia chiaro, tremano le gambe anche solo a pronunciarne, in quest’aula, il nome. Quando vi misi piede per la prima volta come amministratore il 25 luglio del 2011, che voi ci crediate o no, il mio primo pensiero fu per lei, icona di una politica pulita, passionale ed onesta. E gli eroi sono spesso persone normali, persone oneste! Questa Icona mi è stata trasmessa negli anni della scuola da meravigliose docenti come la prof.ssa Clara De Braco, oggi responsabile dell’associazione Libera. Icona il cui ricordo, come succede per tutte le icone, è esclusivamente positivo e latamente apologetico, ma ciò rientra nell’ordine delle cose, dovrete ammetterlo.

D’altronde in questi giorni ho ascoltato personaggi lamentarsi per la mancata intitolazione della sala, di questa sala, a boiardi della prima Repubblica il cui unico merito sarebbe stato, a loro avviso, quello di creare posti di lavoro in società pubbliche e con denaro pubblico.

I simboli, le icone, sono importanti. Lo sono per i giovani in particolare, lo sono per i cittadini e lo sono, naturalmente, per il sottoscritto. Sono importanti per il testamento morale e per l’Esempio che riescono a trasmettere. Lungi dal voler polemizzare con esponenti politici, amministratori, attuali o del passato, o partiti che hanno o hanno avuto tra le loro fila condannati per concorso esterno in associazione mafiosa o evasione fiscale, gente che spesso sonnecchia o ha sonnecchiato quando sotto i propri occhi si consumavano delitti gravissimi, mi interessa qui fissare, invece, alcuni concetti chiave.

 

Le responsabilità penali dei soggetti colpevoli dell’atroce delitto sono state sviscerate nel corso dei processi e dei relativi gradi di giudizio. Nessuno, nè il sottoscritto nè i moderni redattori di studi di ricostruzione dell’attività politico-amministrativa di Renata Fonte, sono nelle condizioni di ricostruire, ribaltare o riscrivere la storia di Renata.

 

Ho più volte affermato (ma probabilmente non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire) che nulla ha a che fare, a mio modesto avviso, l’omicidio di Renata con la battaglia per la creazione del Parco di Portoselvaggio i cui meriti vanno riconosciuti e ascritti ai tanti che facevano, prima del 1980 (anno di istituzione del Parco) attività politica, associativa e ambientalista. Uno su tutti, quel Pinuccio Caputo che tenne ore ed ore di orazione per bloccare i lavori del Consiglio, riuscendoci. Discorso differente va fatto per le successive lottizzazioni contro cui Renata sicuramente si battè, insieme ad altri, a partire dal 1982 (anno della sua elezione in Consiglio comunale).

 

Le sentenze, dicevo, ed i processi. Ebbene tutte vanno rispettate e applicate. Come va rispettato il lavoro del Ministero degli Interni e i riconoscimenti da questo rilasciati nel corso degli anni. Ebbene relativamente all’omicidio Fonte il Ministero ha riconosciuto che si sia trattato di “omicidio di mafia”. Almeno nel Ministero degli Interni, mi auguro, si abbia fiducia. Detto ciò, a differenza del resto d’Italia dove ci sono i “professionisti dell’antimafia”, a Nardò abbiamo i cosiddetti “professionisti della Mafia”. Tutti esperti nel declamare cos’è il fenomeno mafioso, a coniugarlo, a dare esaustive definizioni, come se la mafia fosse solo quella con coppola e lupara, quella d’origine siciliana, quella delle cupole sicule. Come se la mafia non fosse anche un modus operandi, una forma mentis, un modo di vivere e operare.

 

Da questa formula (vittima di mafia), da me ripresa nel testo della mozione e contro cui oggi si scagliano i custodi della legalità neretina (si fa per dire), che nulla naturalmente ebbero a dire quando la formula fu utilizzata dal Ministero, alcuni fanno discendere la conclusione che Nardò è Città mafiosa. Una assurdità, una consecutio logica del tutta fuori luogo. La responsabilità penale è personale e chi è stato condannato risponderà, e sta rispondendo, delle sue gravissime colpe davanti al Giudice precostituito per legge. Un discorso, quello di associare i soggetti condannati, o anche solo imputati o perfino quelli solo indagati, alla Città di provenienza infettandone la storia, è assurdo e folle. Un ragionamento che già in occasione della mancata costituzione di parte civile nel processo Sabr abbiamo ascoltato sul presupposto che se i singoli sono imputati per schiavismo allora la Città è schiavista. Se i singoli sono autori di omicidio di mafia allora la Città è mafiosa. Un assurdo logico e giuridico. Ognuno risponde dei reati per cui è stato riconosciuto colpevole. Il sottoscritto, tra l’altro, non può essere certamente descritto come un giustizialista, la mia associazione nel febbraio 2013, lo ricordo a chi ha vuoti di memoria, organizzò un convegno per discutere della tragica morte e delle vicende correlate alla fine di Gregorio Durante, figlio dell’esecutore materiale del delitto Fonte. Fatti diversissimi tra loro, per carità, ma che dimostrano come il garantismo sia stato sempre la nostra stella polare.

 

Che a coprire la maggioranza e toglierle le castagne dal fuoco siano, poi, rappresentanti della cosiddetta opposizione, può sorprendere qualcuno ma non stupisce di certo il sottoscritto. Fare questo tipo di lavoro per conto della maggioranza non è pratica che ci appartiene nè ci è mai appartenuta, nè mai ci apparterrà. Il ritiro della mozione, sottoscritta da associazioni come Libera, movimenti politici e associazioni ambientaliste, è per me, per noi, per tutta la Città, paragonabile ad un voto contrario e come tale verrà percepito! E chi voterà a favore del ritiro sappia di prendersi una grande, enorme, responsabilità non solo davanti ai neretini ma davanti all’Italia intera.

 

Calpestare il diritto d’iniziativa del singolo consigliere, inoltre, è un atto volgare e antidemocratico che calpesta le prerogative dei rappresentanti del Popolo. Voi ci vorreste tutti allineati, tutti capaci di rimangiarsi la parola data, tutti proni ai voleri dei potenti di turno. Nei giorni scorsi si è tenuto un apposito incontro della Conferenza dei Capigruppo e una Commissione consiliare per discutere di questo argomento dove la maggior parte dei presenti erano favorevoli alla mia proposta. dai consiglieri Frassanito e Orlando, a Piccione e Luci. Voi avete il dovere e il diritto di votare questa proposta e prendere posizione. Abbiate gli attributi per decidere da che parte stare! Il ritiro è lo strumento utilizzato di chi non ha il Coraggio delle sue Idee. Il ritiro è un atto di estrema codardia.

 

A Renata Fonte va intitolata la sala consiliare perché in quest’aula si sono consumati i suoi ultimi minuti di vita, perchè in quest’aula si sono consumate le sue battaglie, perchè in quest’aula abbiamo, avete, ammirato la sua passione civile! Le penultime persone che ha visto sono i suoi colleghi, non le sue figlie! Su questo deve fondarsi la Vostra decisione, non sui diktat di un sindaco che fa riunioni di maggioranza su questi temi e non quando elargisce incarichi a destra e a manca! Non sul presupposto che ciò che propone quel rompiscatole del consigliere Mellone vada bocciato!

 

Quell’atteggiamento, quell’accerchiamento, quell’isolamento, riservato a Renata Fonte non è cessato, non è finito, non è venuto meno. Viene riservato ad altri. Ho saputo che colleghi studiano la mia cacciata perché scomodo e urlatore, perchè fastidioso e petulante. Sono argomenti simili a quelli usati in passato per altri ma io non mi faccio certo intimidire. A molti non piacciono gli spiriti liberi, tanti hanno assoluta repulsione per chi ragiona con la propria testa. Come un clima d’odio e isolamento fu costruito attorno all’assessore Renna sulla vicenda del processo Sabr, dove Vincenzo finì sul banco degli imputati, insieme al sottoscritto e pochi altri, a dire il vero, per le sue idee, e per la sua disinteressata difesa della Legalità ricevendone in cambio minacce e una misteriosa e quanto mai puntuale cacciata da questa Amministrazione.

 

La domanda da porsi è: Renata Fonte sarebbe stata uccisa se non fosse stata impegnata in politica? Sarebbe stata uccisa se non fosse stata amministratrice di questo Comune? Le risposte, a me e a tutta la cittadinanza, paiono ovvie come ovvio dovrebbe essere il vostro voto se non foste offuscati da logiche becere da Monopartito dall’ossessione dell’esposizione mediatica del sottoscritto divenuta ormai un problema per chi era abituato a non avere oppositori. È stata uccisa durante una fase della sua vita in cui fortissimo è stato il suo impegno politico!

Il vostro voto resterà negli atti e nella Storia, pensateci bene prima di scrivere una pagina spregevole per la Città di Nardò, prima di decretarne la damnatio memoriae.Tanto è stato fatto nel corso di questi anni, dal monumento nel Cimitero all’intitolazione di una via, al polo scolastico, sono d’accordo. Questo però è l’ultimo e il più importante dei riconoscimenti da tributarle: intitolarle la sala consiliare! Dare al luogo in cui si decidono i destini della Città il Suo nome, il nome di una figura davanti a cui dovremmo tutti inchinarci se non altro per il fatto che, nel corso del suo mandato amministrativo, ha perso la vita togliendo ai suoi cari, e alle sue figlie in particolare, 30 anni di affetto e gioie.

 

Renata Fonte non appartiene a nessuno. Nè alla destra nè alla sinistra e men che meno al centro. Renata Fonte è di tutti, di quei cittadini e di quegli amministratori onesti che operano rispettando le leggi e facendo gli interessi della propria Comunità. E sono sempre meno, ahi noi… Renata Fonte è dei suo familiari e di tutti coloro che le hanno voluto e le vogliono bene. Renata Fonte è dei neretini e ad essi va restituita intitolandole l’aula che dovrebbe (deve!) rappresentare tutti. In caso contrario, spiace dirlo, la state uccidendo un’altra volta, state tentando di cancellarne il ricordo ma la Nardò migliore, ancora una volta, si ribellerà.

 

Pippi Mellone

Consigliere comunale

Comunità Militante

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