Ancora una volta il consiglio comunale di Nardò, registrando una convergenza quasi unanime, ha deciso di non scegliere e di percorrere la strada dell’ipocrisia, del perbenismo e del buonismo da facciata.

 

Con la soluzione adottata, di fronte alla quale lo stesso pilato impallidirebbe, quella cioè del ritiro della delibera approvando la quale la sala consiliare avrebbe dovuto portare il nome di Renata Fonte, dobbiamo purtroppo e ancora una volta registrare il manifestarsi di un ‘pensiero debole’, di un succube ripiegarsi su posizioni di comodo che smentiscono quella coscienza civica più volte dichiarata nelle occasioni da parata da parte delle istituzioni cittadine, ma mai dimostrata quando il momento lo avrebbe richiesto. Ormai le occasioni sono parecchie: la cecità e l’indifferenza nei confronti degli immigrati, le misure di ‘segregazione’ razzista nei confronti degli stagionali, la non costituzione di parte civile al processo contro gli imprenditori agricoli accusati di ricorso al caporalato e riduzione in schiavitù, infine in questi giorni la disquisizione linguistica sul termine mafia e quindi l’escamotage di ritirare la proposta con la scusa che la sala consiliare sarebbe opportuno non portasse alcun nome.

Tale posizione appare ancora più grave se si considera la recente recrudescenza di atti intimidatori e attentati che in molti paesi della provincia si stanno ripetendo in modo preoccupante, tanto da allarmare pure la direzione distrettuale antimafia, che attraverso il procuratore Cataldo Motta, ha invitato le istituzioni a sollecitare iniziative tese ad alimentare la coscienza della legalità. Anche per questo motivo, la segreteria provinciale di sel e i circoli territoriali, tra i quali il ‘noveaprile’, hanno proposto ai relativi consigli comunali l’approvazione di un odg che preveda l’adozione di misure e iniziative in tale direzione.

Dedicare la sala consiliare neritina a Renata Fonte sarebbe stato un atto tangibile in tal senso, un gesto concreto di memoria e impegno; avrebbe significato l’omaggio riconoscente del consiglio comunale a una donna forte e generosa che aveva creduto che l’attività politica al servizio della città potesse rappresentare uno strumento di crescita civile per il benessere della comunità tutta; avrebbe significato l’impegno solenne a improntare la vita amministrativa a principi etici e di legalità; avrebbe mostrato il coraggio di strapparsi dagli occhi il velo di ipocrisia e perbenismo e riconoscere il pericolo di far allignare la gramigna dell’interesse illecito se non si chiude una buona volta e per sempre con ambienti malavitosi e gruppi di potere.

Detto ciò, intendiamo anche dissociarci e con forza da quanti, cavalcando l’onda dell’emotività e dello scandalismo acritico, cercando di accaparrarsi titoli ad effetto sui media, sperano di nascondere la loro illiberale concezione politica, la loro quotidiana pratica improntata alla discriminazione e all’odio fratricida, il loro qualunquismo cieco e massificante, i loro limitati orizzonti.

Un’altra occasione mancata per Nardò di uscire dalla melma dell’immobilismo, dell’intimidazione e dell’intrallazzo.

Federazione Provinciale SEL Lecce

 

Circolo SEL “noveaprile” Nardò