L’intitolazione dell’aula consiliare a Renata Fonte non è un traguardo dopo mille parole scritte su muri di gomma. La pietra leccese collocata all’ingresso dell’aula consiliare sorge ad ammonimento, a difesa dei più alti valori di una democrazia che da domani appare prendere vigore in una targa apparentemente innocua. Un eredità che pesa ma che non deve intimorire chi oggi, neofida politico, siede tra gli scranni di una città, difficile con il cuore e la mente rivolte al ruolo che il popolo sovrano gli ha affidato.
L’intitolazione per noi è lontana dai clamori mediatici scanditi dalla velocità scandalosa delle notizie che durano il tempo di un battito di ciglia o da un click nevrotico di famelici internauti. Oggi non siamo amplificatori di vittorie intrise di mera propaganda articolata di parole ridondanti.
Per noi dell’Ora ,che onoriamo ogni giorno gli insegnamenti di Pantaleo Ingusci, è molto di più. Quella targa è un punto di partenza, è il punto di congiunzione tra un passato noto un presente che si sta scrivendo e un futuro da scrivere privo di ombre .Plaudiamo a chi oggi realizza i sogni a cui noi abbiamo dato voce, perché semplicemente erano e restano condivisi senza nulla a pretendere.
Siamo testimoni scomodi per chi non conosce la parola democrazia e amore per questo territorio; per chi entrerà in quell’aula con idee lontane anni luce dagli insegnamenti di Renata. Saremo testimoni scomodi per chi perderà la ragione a cui noi tutti abbiamo creduto, in buona fede.
Per l’Ora l’intitolazione dell’aula consigliare è un cerchio che si chiude dopo mille rivoli di ipocrisia ostentata dal pressapochismo di quella politica dei crocicchi di ,si spera,remota memoria.
Desideriamo chiudere con le parole di Viviana Matrangola, una delle sue due figlie della compianta Renata: “Mia madre non è stata uccisa solo quel 31 marzo 1984, ma tutte le volte in cui in questi anni le è stato negato il ricordo. Mentre ovunque si è fatto e si continua a fare il suo nome con orgoglio, a Nardò Renata Fonte è stata isolata e dimenticata, perché ricordare significa forse riscoprire connivenze e ammettere che lei diceva “no” a cose cui altri dicevano “sì”. Quella vita spezzata e quella voce oggi tornano a vivere”.