Il sindaco Marcello Risi ribadisce il contenuto delle dichiarazioni pubblicate domenica 14 dicembre dalla Gazzetta.

 

L’amministrazione comunale, compresi naturalmente il sindaco e l’assessore al turismo Avv. Maurizio Leuzzi, aderiscono all’orientamento del Consiglio di Stato: per procedere alla concessione di stabilimenti balneari non è necessario attendere l’approvazione definitiva del piano delle coste comunale.

L’orientamento del Consiglio di Stato agevola l’attività dei comuni, i quali possono avviare l’iter finalizzato alla concessione di stabilimenti balneari senza essere legati a lungaggini di un procedimento abbastanza complesso. D’altra parte, per il comune di Nardò, tutto è reso più semplice dal fatto che i tecnici comunali hanno già redatto le tavole del Piano comunale delle coste e questo ci consente di valutare le domande potendo contare su un lavoro di pianificazione già avanzato. Naturalmente, come prevede la stessa legge regionale, le concessioni saranno rilasciate al termine di una procedura di evidenza pubblica con valutazioni comparative fondate su criteri oggettivi. Il comune darà ampia pubblicità a tutti i provvedimenti che saranno adottati. Per le prospettive della nostra comunità è un’occasione storica e siamo pronti a mettere a frutto l’enorme lavoro che l’amministrazione ha svolto in questi tre anni.

Si riporta ampio stralcio della Sentenza del Consiglio di Stato del 23 settembre 2014, n. 4788:

“In particolare:

 

– il comma 1 dell’art. 17 ha stabilito che, nelle more dell’approvazione del piano regionale delle coste (p.r.c.), avrebbe dovuto considerarsi sostanzialmente precluso il rilascio di nuove concessioni, rimanendo consentito ai comuni il rinnovo delle concessioni già in precedenza rilasciate;

 

– il successivo comma 2 ha, invece, stabilito che “fino all’approvazione dei piani comunali delle coste (p.c.c.) i comuni applicano, nell’attività concessoria, esclusivamente le disposizioni rivenienti dal piano regionale delle coste” .

 

In primo luogo, il raffronto fra i commi 1 e 2 dell’art. 17, cit. rende chiaro che:

 

– nelle more dell’approvazione del p.r.c., il legislatore regionale ha ritenuto d’inibire in via generale l’esercizio dell’attività concessoria (in specie, in sede di rilascio di nuove concessioni), onde evitare che tale rilascio, avvenendo nella totale assenza di un qualunque quadro disciplinare di riferimento, producesse una sorta di ‘effetto di spiazzamento’ in danno della complessiva regolamentazione d’imminente adozione e attuazione.

 

A tal fine, il novero delle attività comunque consentite nel corso di tale delicatissimo frangente temporale veniva individuato attraverso la tecnica del ‘numerus clausus’ (ex art. 17, comma 1, lettere da a) a f)), con elencazione evidentemente tassativa e inestensibile;

 

– al contrario, all’indomani dell’approvazione del p.r.c. e nelle more dell’approvazione dei singoli p.c.c., il legislatore regionale – con formula volutamente ampia – ha ammesso il riavvio da parte dei comuni dell’attività concessoria in tutta la sua estensione (è da ritenersi: anche attraverso il rilascio di nuovi titoli concessori, cui è certamente da assimilare l’ampliamento fisico delle preesistenti concessioni, come nel caso che qui viene in rilievo).

 

L’unico limite espresso che la richiamata legge regionale pone al riespandersi dei poteri, prerogative e facoltà ricollegabili all’esercizio dell’attività concessoria è rappresentato dal fatto che essa debba avvenire in applicazione “[delle] disposizioni rivenienti dal p.r.c.”.

 

Quindi, il legislatore regionale ha reso chiaro come l’approvazione del p.r.c. costituisse il presupposto – per così dire – necessario e sufficiente per ammettere il riavvio dell’attività concessoria, da parte dei comuni, e come dovessero conseguentemente essere limitate a casi residuali le ipotesi in cui la mancata approvazione del p.c.c. sarebbe risultata ostativa all’assenso per nuove concessioni.

 

In definitiva, all’indomani dell’approvazione del p.r.c. (e nelle more dell’approvazione dei singoli p.c.c.), la regola è rappresentata dalla possibilità di procedere al rilascio delle concessioni (e a tal fine i comuni dovranno rinvenire nell’ambito delle dettagliate previsioni dello stesso p.r.c. i relativi presupposti, condizioni e limiti), mentre l’eccezione sarà rappresentata dalle ipotesi – a questo punto, residuali – in cui la mancata approvazione dei p.c.c. precluda comunque il rilascio delle discusse concessioni.

 

Tuttavia, un tale effetto preclusivo dovrà essere verificato caso per caso e motivatamente limitato alle sole ipotesi in cui la mancata approvazione del piano comunale palesi una lacuna non colmabile attraverso il ricorso alla lettura e all’interpretazione del piano regionale”.

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