Sarà che i tempi cambiano, sarà che le mode subiscono dei corsi e ricorsi storici di vichiana memoria, ma l’attuale fisionomia di cui è caratterizzato il (mal)costume del perbenismo, in voga fra molti, mi lascia alquanto perplessa.

Tra le strade e nelle relazioni umane quotidiane, noto sempre più un moralismo che serpeggia tacito e subdolo e che trova dimora nei pensieri prima, nella bocca poi, di sempre più soggetti avvezzi ad una critica facile, superficiale, fastidiosa come il ronzio di una mosca. Un meccanismo semplice, un comportamento comodo in cui ci si diletta anche con sinistro piacere, con disinvoltura e con pericolosa frequenza.

Il fenomeno non è certo di recente manifestazione tra i meandri della società cosiddetta “civile”. Tale mos affonda infatti le radici ben più di qualche manciata di anni fa, basti pensare al perbenismo borghese di età vittoriana di cui si fregiavano i cittadini benestanti della corona inglese che indossavano un abito all’apparenza pregiato e pudico, tipico di chi abbracciava il tanto acclamato buon costume ma che in realtà celava scabrosi passatempi.

Di storia, di tempo, di perbenisti anche illustri ne sono passati da allora ma quel ronzio fastidioso svolazza ancora beffardamente e continua indisturbato il suo volo.

Il meccanismo di avvio, di facile innesco, è alla portata di tutti e si configura dotato di una sorprendente naturalezza, mista ad un pizzico di quell’ingrediente così sottile e così pungente che condisce sovente le relazioni interpersonali e che risponde al nome di malizia. Agli occhi integerrimi del perbenista, dall’alto del suo solenne buon costume, il comportamento, la scelta, il “modus vivendi” del malcapitato appare contrario ai suoi precetti: questo è dapprima un pensiero elaborato nella mente, supportato da fantasiose tesi, nel quale il moralista si diletta in un colorito valzer di critiche. Successivamente dai pensieri si passa alle parole. Parole bisbigliate, dette sottovoce ma che sono dotate di energia esplosiva e che vengono scambiate fra perbenisti consimili ed edulcorate con magistrale sapienza. Ecco che il risultato è pronto. Il perbenista ha soddisfatto il suo irrefrenabile desiderio e sul malcapitato pende un aggettivo, una diceria, una sorta di lettera scarlatta con cui viene bollato e da cui è difficile liberarsi. Niente di più ingiusto.

E’ proprio vero, non ci sono più gli insetticida efficaci di una volta… Oppure sarà il ronzio delle mosche ad essere più fastidioso?

 

 

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