Nardò 14 Lug:_ Nel giorno della sentenza di primo grado del processo “SABR”, che apre la lunga strada processuale che porterà al verdetto definitivo, abbiamo ricevuto, dalla voce del presidente della Corte d’Assise Roberto Tanisi, una prima consapevolezza cioè quella che l’impianto accusatorio portato avanti dal P.M. Valeria Mignone ha resistito alle numerose obiezioni introdotte dalla difesa. Nardò, secondo questo verdetto provvisorio, è una città che ha sfruttato il lavoro dei migranti per ottenere vantaggi sulle povertà della gente.

Un fenomeno conosciuto da tempo, almeno nelle voci dei protagonisti, dovuto ad un vuoto normativo in cui è facile che si possa creare una zona grigia nella quale è possibile che i furbi possano lucrare.

A distanza di cinque anni, dalla ribalta mediatica sollevata dalla questione “Caporalato”, nella nostra città nulla sembra essere cambiato se non l’apparente impegno verso una soluzione tampone che non ha per nulla risolto la ghettizzazione dei lavoratori stagionali.

Da una parte c’è l’amministrazione comunale, con il sindaco Mellone in testa, che tentano in tutti i modi di ricevere gli onori dovuti in virtù di impegni scritti su carta e proclamati a mezzo stampa ma non realizzati sul campo.

Sindacati e rappresentanti degli imprenditori agricoli che tendono ad amplificare i loro interventi per giustificare l’inutile presenza, confermata dagli stessi braccianti intervistati ieri, con iniziative sterili solo al fine di tacitare l’opinione pubblica e senza dare un vero sguardo alle esigenze dei lavoratori.

E’ vergognoso assistere a un controllo sul territorio, programmato dalla Cgil Flai Puglia, sia per visionare il nuovo campo allestito nella masseria Boncuri in agro di Nardò sia per un accertamento del rispetto delle norme sulla raccolta dei prodotti agricoli, sbandierato sui media il giorno precedente.

Se il Sindacato avesse inteso, con il suo intervento, far emergere comportamenti non conformi ai regolamenti sicuramente sarebbe stato un atteggiamento più appropriato effettuare un riscontro a sorpresa per non dare modo di poter mascherare, ai datori di lavoro o gestori del campo, eventuali disservizi o inadempienze.

Cosa pensare poi, come detto in precedenza in altro articolo, dell’ affermazione del segretario generale della Cgil Puglia, Antonio Gagliardi, che asserisce di aver notato, all’interno della masseria Boncuri, volti già noti a compiere in passato il mestiere di “caporale” senza che lo stesso o suoi interlocutori abbiano richiesto nell’immediato un intervento ispettivo da parte delle autorità competenti?

Senza ombra di dubbio non aver, almeno sinora, intrapreso la via della denuncia formale alla magistratura la dice lunga sulla vera volontà del sindacato di difendere i lavoratori e di non utilizzarli meramente per la sola distribuzione di gadget e accessori a fini pubblicitari per l’organizzazione sindacale.

Questa sensazione l’abbiamo ricevuta dopo la nostra visita di ieri, nel “ghetto” allestito nella masseria Boncuri, dopo aver appreso le reali condizioni di vita interne, descritte in modo dettagliato dagli occupanti, soprattutto attraverso le domande rivolte ai lavoratori presenti dal redattore politico Ulrich Ladurner del settimanale tedesco Die Zeit, in visita al campo accompagnato da esponenti di Diritti a Sud.

Una tendopoli invasa da arrivi che non trovano alloggio nelle tende, nessun controllo diretto sul campo, Cooperativa Sociale arl Mosaico, che si occupa dell’interno della masseria, non riesce a fornire risposte sull’accampamento vicino e rimanda tutti a rivolgersi alle sedi comunali, non essendoci stato,sinora, mai presente alcun riferimento istituzionale all’interno del “ghetto”.

Quindi ci si trova di fronte a una forma di autogestione incontrollata con tutti i rischi che ne possono derivare. La masseria che dovrebbe fornire un posto letto a soli sedici richiedenti asilo invasa in ogni angolo da persone che cercano di riposare anche distesi per terra.

Le condizioni igieniche interne al limite, il vecchio ordine e la pulizia dei locali a cui ci eravamo abituati a osservare alcuni mesi orsono sembrano solo un lontano ricordo, ognuno si arroga del diritto di fare ciò che vuole senza delle regole, anche se le stesse sono appese come avvertenze inascoltate sui cartelloni posti all’ingresso delle sale.

I lavoratori all’esterno si lamentavano di non avere letti, di essere costretti a vivere per terra, i bagni chimici piazzati sul terreno e abbandonati a se stessi ,la pulizia dei “sebach” impiantati risulta non effettuata da oltre venti giorni, tanto da costringere per il cattivo odore interno i possibili utilizzatori a optare per il campo aperto per i bisogni fisiologici più urgenti.

Queste notizie sono state apprese dalle parole di tunisini, marocchini e ghanesi che hanno già denunciato nelle sedi comunali queste mancanze, rimarcando inoltre, l’esigenza sentita di un pasto caldo al ritorno dai campi di lavoro, la quale è stata preclusa dalle scelte dell’amministrazione che ha vietato l’allestimento di fortuna di una cucina, come avveniva negli anni passati, ma non ha trovato un’alternativa valida per risolvere questa necessità, costringendo i braccianti agricoli a un tour di force dopo una lunga giornata lavorativa per ritornare nel paese, per altro costretti a percorrere quasi 5 km a piedi per poter comprare un pezzo di pane dal supermercato più vicino, con tutti i rischi che il tragitto comporta.

La sera il campo è completamente al buio senza energia elettrica e diventa pericoloso il solo muoversi senza paure e attenzioni particolari, la mattina poi con il caldo torrido il bidone di raccolta dell’acqua potabile, posto sotto il sole, rende inutilizzabile il liquido contenuto, noi stessi abbiamo constatato insieme ai giornalisti tedeschi presenti la temperatura dell’acqua contenuta semplicemente aprendo il rubinetto e bruciandoci la mano posta sotto per verificare la temperatura della stessa.

Inoltre erano presenti all’interno della masseria delle tende inutilizzate, viste anche da noi, e a detta dei lavoratori è presente un magazzino pieno di altre tende e materassi che non sono stati forniti ai nuovi arrivi, nonostante le richieste fatte ai gestori del complesso e per loro voce riferita al dirigente competente, costringendo a dormire sulla terra umida tutte le numerose persone in esubero.

Queste problematiche ancora aperte sono note all’amministrazione che si fregia, nei comunicati, di aver allestito un campo dignitoso per ospitare i migranti che nella realtà non ha nulla di simile per richiamare correttamente quell’aggettivo usato impropriamente.

Sarebbe ora di stendere un velo pietoso sulla reale volontà espressa da tutte le istituzioni cittadine e non, nei tentativi vuoti espressi per risolvere questa piaga sociale e questa vergognosa ombra negativa che è presente sulla nostra città.

Lunghi tavoli di trattativa in Prefettura tra le componenti istituzionali, partiti nel mese di Gennaio, che avrebbero dovuto risolvere per tempo questa annosa questione e che non hanno trovato alcuna risoluzione se non quella solita emergenziale.

L’unica voce libera che ha sempre avuto a cuore le condizioni dei moderni schiavi, Diritti a Sud, costretta a abbandonare la partita sia per la gestione della masseria, trovandosi di fronte a richieste inevase per poter superare, in scioltezza, le sicure difficoltà a cui sarebbero andati incontro senza un adeguato supporto in termini di sicurezza e di forniture di mezzi idonei ad accogliere in modo civile i 300/500 arrivi previsti abitualmente ogni anno, sia il tavolo delle trattative istituzionali essendo considerati, da tutti i componenti presenti nelle riunioni, come delle mosche bianche che non volevano a nessun costo allinearsi al sistema stabilito da tempo.

Come giustamente afferma ad Ulrich Ladurner, Angelo Cleopazzo, esponente di Diritti a Sud, è impensabile eliminare il “caporalato” senza che le istituzioni intervengano a colmare un vuoto normativo che serve a collegare chi richiede la manodopera temporanea” aziende agricole” e chi offre l’impegno personale per svolgere tale lavoro ” migranti stagionali o braccianti locali”.

Questa e altre necessità sono state evidenziate nelle sedi opportune presentando anche delle soluzioni valide per superare questa zona d’ombra nelle leggi occupato costantemente dai “caporali” .

Diritti a Sud aveva avanzato per tempo l’ipotesi di realizzare una sede mobile sul campo stagionale per dare un punto di riferimento certificato alle aziende e ai lavoratori dove rivolgersi per riunire i diversi interessi e poter fornire, quindi, quel collante necessario per avvicinare domanda e offerta di lavoro.

Una proposta semplice ma di sicuro effetto deterrente che avrebbe superato in un attimo la figura del caporale che funga da intermediario non più necessario per entrambe le parti in causa.

La stessa associazione ha richiesto più volte, inoltre, un controllo certosino delle zone di accoglienza per eliminare quelle situazioni di illegalità diffusa da sempre presenti nei ghetti senza controllo, lo schiavo che diventa orco, a sua volta, nei confronti di prostitute ed elementi più deboli all’interno del moderno lager.

Purtroppo la burocrazia è abituata a lunghi giri senza risultati per cavalcare l’onda del problema e ottenere solo una visibilità mediatica per coloro che partecipano a queste iniziative di facciata.

Ci sono problemi che non vanno risolti per mantenere in vita un sistema sicuramente lontano da qualsiasi visione logica che cerca di ottenere il rispetto dignitoso dei semplici diritti umani.

Il volto sconvolto di Ulrich Landurner, dopo le interviste fatte, la dice lunga sulle sensazioni ricevute dal redattore da riportare in patria e far uscire fuori quelle verità che spesso da noi vengono coperte da un complice silenzio che avvantaggia le zone grigie diffuse anche a livello istituzionale.

https://www.youtube.com/watch?v=8ASDo6fvZa8

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