BARI – Se dovesse per qualche motivo saltare, il progetto Tempa Rossa di Taranto sarebbe uno dei tanti investimenti sfumati, osteggiati o ritardati in Puglia negli ultimi anni, al pari del rigassifigatore di Brindisi o della statale 275 Maglie–Leuca.

La lista comprende anche l’eolico off shore al largo delle coste garganiche, la Regionale 8 Lecce–Vernole, il gasdotto Tap (Trans adriatic pipeline) con approdo previsto a San Foca di Melendugno, solo per fare qualche esempio di opere dal percorso tribolato che rappresentano, a seconda dei punti di vista, formidabili occasioni di sviluppo o grosse minacce per l’integrità dell’ambiente, da respingere ad ogni costo.

 

In alcuni casi, sui progetti è stata scritta la parola fine: spesso sono naufragati sotto le spinte ambientaliste che hanno raccolto anche vasto consenso popolare, mentre in altre circostanze, la politica si è spaccata, come sulla statale 275, il nastro d’asfalto strutturato dapprima a quattro corsie, poi rimodulato come “strada parco”, con un viadotto e metà careggiata stralciati nell’ultimo miglio, da San Dana a Santa Maria di Leuca. Fatto sta che un investimento da 288 milioni di euro è ancora fermo al palo, malgrado anni di discussioni, polemiche e costosi contenziosi amministrativi che hanno visto opporsi, tra gli altri, la Regione Puglia amministrata dal governo di centrosinistra con a capo Nichi Vendola, contraria alle quattro corsie, e la Provincia di Lecce del presidente di centrodestra Antonio Gabellone, favorevole al tracciato originario. Il rigassificatore brindisino della British Gas doveva essere un investimento da 800 milioni di euro, ma fu osteggiato dalla Regione insieme alle amministrazioni locali di centrosinistra e di centrodestra.

Il 12 febbraio del 2007 l’area di Capobianco, individuata dalla società inglese per la realizzazione di una colmata, finì sotto sequestro nell’ambito di una inchiesta condotta dalla Procura. Fino a quel momento, i lavori per la colmata, che doveva servire per il posizionamento del terminal di rigassificazione, erano costati qualcosa come 200 milioni di euro. La società Wpd Italia off-shore, dopo il parere negativo espresso dal Ministero dei Beni culturali sul suo progetto per la costruzione di un parco eolico in Adriatico, al largo della costa foggiana, minaccia di rinunciare a spendere gli 800 milioni di euro preventivati.

Quello della regionale 8 Lecce–Vernole è un caso esemplare. Per cominciare ad utilizzare i 55 milioni di euro previsti per i lavori di adeguamento della strada ci sono voluti 24 anni. Era infatti il 1988 quando per quella che allora doveva essere la “Circumsalentina”, con parte del percorso panoramico adagiato a ridosso del litorale adriatico della provincia di Lecce, il Cipe stanziò 110 miliardi delle vecchie lire. Un maxi finanziamento che fu in parte perduto a causa della sopraggiunta contrarietà all’opera da parte dei Comuni di Otranto e Giurdignano, ma poi recuperato dalla Regione. Al tracciato di 15 chilometri, con 10 rotatorie e un cavalcavia, si opposero le associazioni ambientaliste, ed ebbe inizio un lungo confronto nelle sedi istituzionali sulle possibilità di rimodulare l’idea progettuale. Assai travagliato è stato finora il percorso di Tap, la condotta progettata dall’omonima multinazionale per trasportare fino al collettore italiano previsto a San Foca di Melendugno il metano estratto dai giacimenti dell’Azerbaigian.

L’opera, ritenuta strategica non solo per l’Italia ma per l’intera Europa, ha trovato le forti resistenze nelle comunità locali e la ferma opposizione della Regione Puglia. Nel gennaio scorso, infatti, il Comitato regionale Via (Valutazione di impatto ambientale), chiamato ad emettere un parere, sia pure non vincolante, ha bocciato la soluzione progettuale con approdo sulla costa di Melendugno. Il combattivo comitato “No Tap”, che si è battuto finora contro il gasdotto, insieme a una quarantina di sindaci dei Comuni dell’area nord orientale del Salento, è in questi giorni in stato di massimo allarme, dopo che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervenendo a Bari, all’inaugurazione della Fiera del Levante, ha detto che il metanodotto si farà come previsto.

Nel 2013, l’annuncio di Enipower circa la rinuncia al potenziamento e alla riconversione a metano della sua centrale elettrica di Taranto, oggi alimentata ad olio combustibile, dopo anni passati ad attendere le autorizzazioni degli enti locali, ha generato preoccupazioni sul futuro della stessa raffineria all’interno della quale si trova l’impianto energetico. Risultato: l’investimento di 240 milioni di euro non si è concretizzato. Polemiche ha prodotto, inoltre, la scelta fatta a suo tempo dalla Regione Puglia di non inserire gli inceneritori nella filiera dei rifiuti, che prevede, invece, un sistema basato su biotunnel e discariche, queste ultime considerate da diversi comuni una minaccia per l’ambiente.

Oggi ci sono comunità come quella di Corigliano d’Otranto, che, con in testa la sindaca Ada Fiore, ritenendo di poter ovviare alla discarica prevista grazie a una differenziata spinta, si oppongono alla realizzazione del sito di smaltimento. Altro investimento mancato è quello legato alla non approvazione del contratto di programma per l’ammodernamento del cementificio Cementir di Taranto, già avallato da Puglia Sviluppo con finanziamento di 14 milioni di euro e poco più di 19 milioni di euro come incentivi. Cementir, dopo avere atteso a lungo l’autorizzazione, ha deciso di dismettere l’area a caldo dell’impianto conservando solo il centro di macinazione. La mancata autorizzazione definitiva al raddoppio della capacità della raffineria dell’Eni Refining & Marketing di Taranto, che avrebbe portato alla realizzazione anche di un oleodotto verso Brindisi, ha prodotto un mancato investimento da un miliardo di euro.(Corriere del Mezzogiorno)

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