Se «Dio non ha paura delle novità», come ha dichiarato ieri Papa Francesco, devono invece averle temute i vescovi riuniti nel Sinodo svoltosi tra il 5 e il 19 Ottobre 2014, i quali hanno dibattuto per oltre una settimana su argomenti evidentemente spinosi come la comunione ai divorziati….. e l’unione tra coppie omosessuali. Muovendosi su sabbie mobili fatte di chiacchiere di circostanza e sofismi intellettuali che servono a fare titoli su giornali ma che non spiegano nulla, il dibattito è affondato su se stesso giungendo a un nulla di fatto, ossia rimandando a discussioni e approfondimenti futuri, prendendo a prestito una delle tecniche tanto care alla politica italiana: posticipare e spostare il problema-

«Troppa carne al fuoco, si è partiti senza certezze» ha dichiarato il cardinale Velasio De Paolis al termine del Sinodo. Un dibattito non dovrebbe partire da delle certezze, altrimenti verrebbe meno il senso stesso del confronto, ma evidentemente ci si attendeva delle indicazioni dall’alto, le quali tuttavia in un certo senso sono arrivate: creare confusione, smorzare le aspettative, per arrivare al vero obiettivo: non cambiare nulla, ma far credere che cambi qualcosa. Le aperture di cui Papa Francesco si fa promotore sono solo formali perché nei fatti corrispondono a chiusure sostanziali. Nulla muta, ma tanto basta, perché per la stampa il fatto già che se ne sia discusso e qualcuno all’interno delle mura vaticane abbia solo paventato dei cambiamenti, è già un successo.

 

E dire che, e questo rimanda alla frase della troppa carne al fuoco, tematiche come il matrimonio e argomenti annessi e connessi vengono trattati da mezzo secolo. Partendo dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, passando per le encicliche Humanae Vitae del fresco beato Paolo VI fino ad arrivare al Deus Caritas Est dell’emerito papa dimissionario Benedetto XVI, sono stati spesi fiumi di inchiostro riaffermando all’incirca sempre gli stessi concetti.

 

La Relatio Synodi della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, redatta a conclusione del lungo incontro, si articola su ben 62 capoversi. L’incapacità di affrontare in maniera concreta la società odierna emerge proprio nella scelta di numerose frasi ampollose che valgono bene come esercizio di retorica ma che di certo non smuoveranno gli arcaici capisaldi di questa istituzione millenaria. Si mette subito in chiaro che «Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio […] in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo» (11); sta bene citare una frase del 4 ottobre 2014 di Papa Francesco in cui «Al fine di verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto» (12), come se questo potesse incidere sui contenuti del discorso; oppure fare riferimento a temi astratti affermando che «decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona» (31).

 

Nulla di nuovo quindi, molto più semplice ribadire i concetti chiave in cui la Chiesa si trova sempre a suo agio: «È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale» (39), così come «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (55). Chiusura totale, se non poi un tentativo di arrampicarsi sugli specchi affermando che «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione».

 

E ci mancherebbe verrebbe da dire, ma il fatto che lo si specifichi denota una coda di paglia quanto meno sospetta. Una Chiesa che accoglie tutti si dice, ma con le dovute precisazioni e raccomandazioni. E tra encicliche varie, forse è maggiormente il caso di citare George Orwell che scriveva: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri».

 

Dove invece tutto si fa complesso, allora si rimanda, in nome della vaghezza e indeterminatezza: «Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia […] Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti» (52). E ancora una volta si fa riferimento a distinguo che generano confusioni e incomprensioni. Rimane comunque bizzarro che poi si faccia più o meno esplicito riferimento al pentimento come condizione necessaria per l’accesso alla Comunione. Il pentimento per sua natura deve consistere nell’ammissione della colpa e quindi paradossalmente, in questo specifico caso, alla volontà del divorziato di tornare dal coniuge. Cosa che il divorziato sarà lungi dal voler fare.

 

E quindi meglio chiudere qui il Sinodo, ammettendo candidamente «Che non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo, guardando al modello della Santa Famiglia, potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti» (62). Va bene così in fondo. Il giorno seguente la chiusura del Sinodo, Papa Francesco accoglie tra i beati l’anima di Paolo VI, colui che a parer suo «Seppe scrutare con coraggio il segno dei tempi». Già, colui che nell’Humanae Vitae sosteneva che la Chiesa fornisce un «adeguato insegnamento sia sulla natura del matrimonio sia sul retto uso dei diritti coniugali e sui doveri dei coniugi» (4), difendendo «Amore fedele ed esclusivo fino alla morte» (9), ed escludendo «Ogni azione che, […] si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (14). Piazza San Pietro gremita e tutti contenti.

 

Assistiamo quindi a quanto sostiene Sergio Luzzatto in Il crocifisso di Stato: «Da una parte, il Papa, il Vaticano, la Chiesa come istituzione. Dall’altra parte, un numero grande o piccolo di uomini senza Dio che cercano un rapporto di dipendenza funzionale con il Papa e il Vaticano, persuasi che l’Italia si governi solo così: facendosi strumenti tanto fedeli quanto informali dell’augusto inquilino d’Oltretevere». Affrancarsi da questo rapporto di dipendenza non vuol dire essere necessariamente anticlericali, ma semplicemente perseguire il “sacrosanto” motto “Libera Chiesa in libero Stato”. Vale ancora oggi. Oggi più che mai.(fonte CL)

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