Il 2015 appena trascorso sarà ricordato come l’anno del centenario della pubblicazione della Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, data alle stampe nel 1915, esattamente dieci anni dopo la Relatività Speciale o Ristretta, quella della famosissima formula E = m c², tanto facile da ricordare ed enunciare, per darsi arie da esperto, quanto difficile da penetrare nel suo reale significato per chi non abbia competenze specifiche. 

 Ora: a me piacerebbe poter scrivere qualcosa di sensato su un argomento che da sempre mi affascina profondamente per la sua enigmaticità, per il suo innegabile fascino, per l’aura di mito assoluto che avvolge il suo autore, ma temo di non avere basi scientifiche sufficienti per elucubrarci su. Però certi argomenti sono talmente affascinanti e hanno talmente tante implicazioni sul nostro immaginario da poter essere affrontati da varie prospettive, anche molto poco scientifiche.

Nell’immaginario collettivo, questo enorme contenitore di suggestioni condivise costellato da icone di vario genere, Einstein e la sua Relatività occupano un posto di assoluto rilievo, non c’è dubbio, insieme a Marylin Monroe, Jimi Hendrix, John Kennedy, Gandhi, John Lennon, Martin Luther King e altri. Icone popolari in quanto collegate a discipline popolari, dalla politica alla musica al cinema. Ma stupisce il fatto che forse la più grande di tutte sia proprio quella legata a una disciplina scientifica impenetrabile ai più per intrinseca difficoltà d’approccio: la fisica.

 La figura di quel vecchietto dai bianchi capelli scarmigliati che esibisce un’irriverente linguaccia, finita su poster, magliette e oggetti di vario genere come marchio di qualità, è una delle più potenti icone del nostro tempo, il che è quasi inspiegabile. In fondo cosa ha a che fare con la nostra vita quella misteriosa e strampalata teoria? Quale tipo di irresistibile fascino emana quell’uomo e perché è quasi impossibile trovare qualcuno che non ne abbia mai sentito parlare?

Einstein è talmente popolare da essere entrato nelle battute di spirito e nelle barzellette, come quella che vede la moglie ironizzare sul suo essere mingherlino con l’ironica esclamazione “Che fisico!” alla quale lui avrebbe risposto da par suo con un “Bé, tutto è relativo!”. Nel mondo scientifico solo Stephen Hawking può vantare una popolarità in qualche misura paragonabile a quella di Einstein, ma in questo è probabilmente “aiutato” dalla sua particolare condizione esistenziale di disabile costretto su una sedia a rotelle e obbligato ad esprimersi attraverso un sintetizzatore vocale.

Quest’ultimo è il massimo esperto di buchi neri, quei misteriosi quanto spaventosi oggetti cosmici che molto semplicisticamente sappiamo essere talmente densi da esercitare un’attrazione gravitazionale così forte da non lasciar sfuggire neanche la radiazione luminosa e da ingoiare qualsiasi oggetto passi nelle vicinanze, pianeta o stella che sia. Noi comuni mortali possiamo anche far finta di aver capito cosa siano la relatività e i buchi neri, in fondo chi ce lo impedisce se non dobbiamo andare a spiegarlo dettagliatamente ad un professore di fisica in una sessione d’esame?

 Però un motivo per cui certi argomenti astrusi ci affascinano così tanto deve pur esserci. Io penso che certe ricerche abbiano una straordinaria forza di trasfigurazione, una capacità di travalicare i confini della propria disciplina per lasciare un segno su tanti aspetti della nostra vita, indipendentemente dalle ricadute tecnologiche che possono avere. Parlo più di suggestioni che di applicazioni pratiche di queste ricerche, che pure non mancano.

Penso, ad esempio, a quella proprietà della luce di non avere velocità relativa rispetto a qualunque osservatore, spiegata nella relatività speciale. La velocità della luce non si somma né si sottrae a quella dell’oggetto che la emette se questo oggetto è in movimento e si avvicina o si allontana dall’osservatore; in qualunque condizione venga emessa, la luce arriva sempre alla medesima strabiliante velocità di quasi 300.000 km/s, come casualmente dimostrarono Michelson e Morley in un celebre esperimento del 1887 che in realtà aveva altre finalità. Concetto difficile da concepire per noi che siamo abituati a vedere le velocità degli oggetti che ci circondano sommarsi o sottrarsi a seconda della nostra posizione rispetto al loro movimento.

Allora come far quadrare questa apparente assurdità logica? Semplice (detto tra moltissime virgolette): è il tempo che rallenta oppure accelera in modo che tutto ritorni, essendo il tempo nient’altro che la quarta dimensione dello spazio-tempo, e come tale variabile al pari delle altre tre. L’avevo detto che è semplice, no? Questa apparente assurdità, non percepibile dai nostri sensi, ha delle applicazioni importantissime sulla nostra vita, la principale delle quali è questa: ogni volta che abbiamo un’idea che consideriamo sacra, inattaccabile, e ci troviamo di fronte a un’evidenza che la mette in crisi o addirittura la demolisce possiamo sempre appellarci a una distorsione della logica analoga a quella spazio-temporale, e così il nostro assioma rimane inalterato.

 In altre parole, la nostra idea diventa luce, assoluta e immutabile, che illumina il mondo intero, almeno per come noi l’immaginiamo. Un’altra applicazione è quella che ci permette di uscire dalle secche di una discussione nella quale la nostra posizione risulti messa all’angolo dalle altrui argomentazioni invocando il famigerato slogan “tutto è relativo”, una specie di sesto emendamento che ci pone al riparo dalle conseguenze delle nostre parole, permettendoci di esercitare un deresponsabilizzante relativismo che rimette tutto in discussione.

Alla luce di tutto questo, niente di strano che la relatività speciale abbia un tale successo nel nostro immaginario. Ma anche la relatività generale ha la sua influenza nel nostro modo di guardare e interpretare la realtà. Essa si occupa della gravità, considerata non più come una reciproca influenza di attrazione tra masse (corpi celesti), come nella fisica newtoniana, ma come curvatura dello spazio-tempo determinata dalle suddette masse. In altre parole, per fare un esempio pratico, la Terra non eserciterebbe una forza di attrazione nei confronti della Luna per effetto della sua massa, ma piuttosto curverebbe lo spazio, come una palla di ferro farebbe con un tappeto elastico, inducendo la Luna a “cadere” verso di sé, costringendola in una rotazione che non si conclude, per fortuna, in una collisione perché anche la Luna esercita lo stesso influsso nei confronti della Terra, così che s’instaura un equilibrio dinamico che si esprime nella rotazione della massa piccola attorno a quella più grande, un po’ come nelle faccende umane, dove è il più piccolo che gira attorno al più grosso e non viceversa. Per dare un fondamento scientifico a questa visione Einstein ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie ed è stato costretto a rivolgersi a un certo numero di insigni matematici che potessero sviluppare una matematica adatta alla bisogna, la quale non è di tipo euclideo, tanto perché noi gesuiti ed euclidei (cit.) d’ogni genere ci si possa mettere l’anima in pace.

 Forse è stata questa circostanza che ha alimentato il mito di un Einstein non molto ferrato in matematica, il quale era invece uno studente brillantissimo nella materia all’epoca del liceo. Non ci vedo niente di strano in questo: c’è lo specialista, imbattibile nella sua materia, e c’è il genio, cioè colui che ha la visione d’insieme e mette in relazione discipline e mondi diversi usando la forza dell’immaginazione, sino a sfiorare il limite della folle visionarietà. Il genio ha bisogno dello specialista per dare corpo alle sue idee e lo specialista ha bisogno del genio per consegnare nelle mani della Storia la sua oscura opera.

Togliamoci quindi dalla testa una volta per tutte l’intrigante idea di un Einstein studente “scapocchione” e svogliato, idea che ce lo fa sentire umanamente più vicino, al pari del suo look scapigliato e di quella famosa linguaccia irriverente.

Ma qual è la suggestione che la relatività generale proietta nella nostra vita? La risposta è continuamente sotto i nostri occhi, tutti i giorni. Le grandi concentrazioni di potere o di denaro (cose strettamente correlate, neanche a dirlo) sono del tutto paragonabili alle grandi masse celesti, e come queste operano una curvatura dello spazio attorno a loro inducendo le piccole masse, individuabili nei singoli individui o al più nelle singole famiglie, a cadere in una sorta di gorgo che le costringe a ruotare vorticosamente e a faticare in modo immane per inseguire una stabilità sempre più difficile con l’aumentare della velocità di rotazione. Proprio come i buchi neri, queste masse risucchiano le nostre sostanze e le nostre residue speranze accrescendo sempre più il loro volume con la conseguenza di curvare sempre più lo spazio vitale in un circolo vizioso dal quale è impossibile uscire.

 I nostri strati superficiali, individuabili nelle sovrastrutture culturali, sono i primi ad essere strappati via e fagocitati dal buco nero: idee e ideologie vengono prosciugate dal vento del pensiero unico, che ci rende docili e acritici consumatori; conquiste acquisite sul piano della stabilità sociale vengono erose a colpi di riforme tendenti alla “crescita” (del buco nero, ovviamente) come terra che si sgretola sotto i piedi; neanche la luce della speranza, al pari dei fotoni, riesce a sfuggire all’enorme attrazione, così che il futuro sembra sempre più nero e i giovani si abituano a ruotare sempre più velocemente attorno alle masse (mobilità sociale, la chiamano) passando da un’orbita all’altra secondo le esigenze di un mercato paradossalmente definito libero.

Mi rendo perfettamente conto di aver delineato un quadro che definire pessimistico è un eufemismo. Ma una nota d’ottimismo viene proprio dalla fisica. Quando un buco nero avrà divorato tutto quello che c’è da divorare non potrà fare altro che evaporare, in tempi infinitamente lunghi, certo, ma è quello il suo destino, come teorizza il grande Hawking. Questa Radiazione Hawking vale anche per i buchi neri a noi più vicini, ma in questo caso i tempi sono infinitamente più brevi, forse molto più vicini di quanto ciascuno di noi possa immaginare.

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