Roma -agi- Un genocidio etnico e politico. Cosi’ parla delle vittime delle foibe Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di Fiume che si trova a Roma, nel quartiere giuliano-dalmata nei pressi dell’Eur, intervistato dall’Agi alla vigilia del Giorno del Ricordo, istituito con legge il 30 marzo del 2004 per conservare la memoria dell’esodo degli italiani istriani, fiumani e dalmati e delle foibe, e che oggi. Una tragedia che si e’ consumata nel secondo dopoguerra quando quelle terre abitate da italiani e italiane, divennero Jugoslavia. Per le popolazioni italiane fu l’inizio della fine: furono costrette a scegliere adeguandosi al regime Jugoslavo o andare via, lasciando sul posto tutto quello che avevano. Coloro che in qualche modo tentavano di opporsi pagavano con la vita e nel modo piu’ atroce: finivano nelle foibe, cavita’ naturali profonde centinaia di metri. Costoro erano considerati nemici, cospiratori. Ma nelle foibe fini’ tanta gente comune in segno di ammonimento, di dimostrazione di forza.

 

La data del 10 febbraio e’ il giorno in cui fu firmato il trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l’Istria e la maggior parte della Venezia Giulia. “Quando parliamo di esodo giuliano-dalmata, parliamo di un evento epocale che ha coinvolto, durante e dopo la seconda guerra mondiale, oltre 300.000 italiani delle terre istriane, fiumane e dalmate -racconta Micich all’Agi-. Queste terre furono occupate militarmente nei primi giorni del maggio 1945 dalle truppe partigiane jugoslave alleate degli anglo-americani. Gli jugoslavi volevano in pratica, sulla base dell’esistenza di una minoranza slava, impossessarsi di tutta la Venezia Giulia, comprese Trieste e Gorizia. L’Italia era un paese sconfitto e in piu’ doveva scontare le mosse sbagliate del regime fascista durante la guerra”.

 

“Le popolazioni civili italiane, presenti da secoli su quei territori – prosegue Micich – si trovarono infine dalla parte perdente e quindi a dover pagare il tributo imposto dal governo comunista jugoslavo al governo italiano. L’acquisizione di tali terre furono una sorta di ‘bottino di guerra’. A conflitto finito l’esercizio di una politica persecutoria e antidemocratica da parte jugoslava nei confronti dell’etnia italiana, spinse quest’ultima ad abbandonare case ed averi per rimanere libera e italiana”.

 

Ma quando si parla di esodo giuliano-dalmata, la memoria corre subito alle foibe che, spiega ancora Micich “sono voragini, profonde anche 200 metri, presenti comunemente in quasi tutto il territorio carsico dell’Istria e dei dintorni di Trieste. Tali ‘inghiottitoi naturali’ furono usati dai reparti speciali delle forze partigiane jugoslave per eliminare i ‘nemici del popolo’ o presunti tali. Le morti per infoibamento erano vere e proprie esecuzioni di massa che videro morire in quel modo almeno 6.000-7.000 nostri connazionali mentre altri 6.000 scomparvero in mare o nei campi di concentramento jugoslavo. In totale i morti delle epurazioni jugoslave raggiunsero almeno la cifra di 12.000 persone. Questo numero, molto considerevole, venne portato sui tavoli della conferenza di Pace di Parigi dal Comitato Antifascista di Liberazione Nazionale Giuliano, quindi una cifra molto attendibile”.

 

Esuli, noi fascisti? No, italiani e per questo cacciati

 

Si può quindi parlare di genocidio… “Le foibe – sottolinea il direttore del Museo Archivio di Fiume – furono senz’altro un crimine contro l’umanita’, ma le ragioni non erano solo di ordine etnico ma anche politico e ideologico. Gli italiani vennero eliminati nelle foibe e costretti in pratica all’esodo piu’ che altro per lasciare al gruppo slavo (sloveno e croato), ormai dominante, il possesso di quelle terre. L’avvento del regime nazional-comunista jugoslavo, per le sue peculiarita’ ditattoriali, costrinse pure all’esodo molti italiani ma non per motivi puramente razziali ma anche di classe. Le fabbriche vennero requisite e cosi’ ogni tipo di attivita’ economica e commerciale passava dal proprietario (spesso italiano) nelle mani del regime comunista slavo. Prendere o lasciare….”

 

Gia’, prendere o lasciare, e per “convincere” gli italiani, si usarono diversi metodi comprese azioni dimostrative terribili come la strage di Vergarolla: “A Vergarolla – spiega ancora Micich – agenti della polizia segreta jugoslava innescarono delle mine il 18 agosto del 1946. La citta’ istriana era sotto controllo degli angloamericani e il suo destino politico doveva ancora essere deciso alla Conferenza di pace di Parigi. Le responsabilita’ dell’esplosione e perfino il numero delle vittime sono fonte di dibattito tra gli storici. Le autorita’ britanniche stabilirono che ‘gli ordigni furono deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute’. Le vittime furono almeno 87. In pratica, questo attentato alimento’ ulteriormente la scelta dell’abbandono da parte degli italiani che piu’ passava il tempo e meno si sentivano tutelati”. Chiudere la porta di casa lasciando tutto dentro ed andare via..

 

La famiglia di Marino Micich proveniva da Zara, (Dalmazia): “i miei erano originari di li’ – racconta – ed hanno cercato di rimanere sulla propria quella terra per qualche anno, ma alla fine provando i rigori del regime preferirono tentare la via dell’esodo seppur a malincuore. Io sono nato nel campo di accoglienza del VIllaggio Operaio dell’EUR nel 1960 e per i primi anni della mia vita ho vissuto da piccolo figlio di profughi. Poi dal 1968 le cose sono andate meglio. L’accoglienza in genere non era stata delle migliori, ma i miei genitori essendo partiti dopo il 1954, perche’ prima il governo jugoslavo non aveva dato ai miei il permesso per giungere in Italia, se la cavarono un po’ meglio . Tuttavia le condizioni dei campi profughi, ricorda sempre mia madre, erano molto dure e difficili da sopportare. Quello che faceva male era anche la diffidenza di certi italiani insensibili e mal disposti. Forse sottoposti e influenzati dalla propaganda poltica. Se ci siamo sentiti abbandonati dalle istituzioni? Abbandonati lo furono, per molti versi, quelle masse di profughi che lasciavano le proprie terre dal 1945 al 1948, dopodiche’ con l’istituzione dell’ente Opera Profughi Giuliani e Dalmati avvenuta nel 1949, l’accoglienza miglioro’ e l’aiuto, seppur insufficente, si faceva comunque sentire. Non dimentichiamno che era un’Italia uscita dalla guerra malconcia e in fase di ricostruzione”.

 

Dalla fine degli anni ’90, di foibe si e’ iniziato a parlare anche a scuola, mentre prima, di questa tragedia si studiavano solo accenni: ” E’ vero – aggiunge – negli anni 80/90 e sicuramente, prima non si e’ fatto per motivi politici, paura e opportunita’. Ma le tragedie non hanno colore. La tragedia delle foibe e dell’esodo dei giuliano-dalmati dovrebbe essere affrontata come una delle varie pagine di storia nazionale italiana. Purtroppo fino all’istituzione della Legge 92/2004 del Giorno del Ricordo parlare di questa storia era quasi impossibile sia nelle accademie sia nelle scuole. Tale storia e’ passata come una vicenda che in qualche modo apparteneva al passato fascista ed emanava anche un cono d’ombra nei confronti del Partito Comunista italiano corresponsabile dei soprusi jugoslavi contro l’etnia italiana. Questo e’ uno dei motivi della rimozione. Da qualche anno pero’ il Ministero dell’Istruzione organizza con la Federazione degli Esuli dei seminari e corsi per docenti sulla storia deinostri confini orientali. Io sono stato il primo referente del Comune di Roma per i viaggi alla Foba di Basovizza e in Istria iniziati sotto la giunta Alemanno”.

 

E la memoria oggi, ha un ruolo fondamentale, ” e’ il cammino della civilta’ di un popolo e quindi va coltivata insieme ai progetti per il futuro. Tuttavia se non si conosce la propria storia, anche quella piu’ dolorosa non si possiedono poi le basi per confrontarsi sui temi sociali e civili che animano oggi il nostro Paese o l’Europa in genere. In questo caso anche lo studio dell’esodo italiano del secondo dopoguerra puo’ far comprendere meglio quelli che sono i nuovi esodi e migrazioni dovute ultimamente alle guerre in Medio Oriente”.

 

Tornare? “Io sto bene a Roma dove vivo e lavoro. Torno a Fiume o a Zara quando voglio e posso. Da anni ormai con le frontiere europeee aperte e la fine del comunismo in Jugoslavia avvenuta sin dal 1991 ci e’ possibile partecipare a incontri e convegni persino nell’odierna Croazia. Naturalmente nei circoli culturali piu’ aperti e tolleranti di quel Paese.Una settimana fa l’Archivio Museo di Fiume e’ stato visitato addirittura dall’Ambasciatore croato a Roma. Si e’ trattato di una sorta di riconoscimento del popolo fiumano da parte croata. La cosa strana e che mai nessun esponente della Sinistra italiana, non mi riferisco al Partito Democratico ma ai partiti piu’ a sinistra, sia mai venuto a trovarci”. (AGI)

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