Dopo la magica serata di ieri sera, che la minaccia di pioggia non è riuscita a rovinare, regalandoci anzi preziose indicazioni di natura acustica e logistica, il recital pianistico di William Greco a Galatone, per la rassegna musicale Tempo di Musica, organizzata dall’associazione A Levante, qualche considerazione si impone.

 

La prima riguarda il protagonista della serata. Di William conoscevo già le doti musicali in campo jazzistico, da me verificate personalmente in qualche rara jam session nella quale ho avuto l’occasione di toccare con mano quanto fosse su un livello decisamente superiore al mio; ma per questo non ci vuole poi molto. Quello che mi impressionava era la grande maturità espressiva di quello che all’epoca era poco più di un ragazzino, quel suo non essere mai sopra le righe, mai alla ricerca del facile (per lui) effetto virtuosistico, ma sempre misurato e coerente con la temperie del brano. Vi assicuro che non è proprio da tutti. Ma del William interprete classico avevo solo qualche notizia riguardante i premi che iniziava a mietere in giro per l’Italia, non avevo mai visto una sua esecuzione. Dopo averlo visto ieri, da posizione privilegiata, posso sicuramente dire che il Salento ha colpito ancora, aggiungendo un altro protagonista alla sua illustrissima tradizione pianistica, il quale, se saprà tenere la testa al suo posto, cioè sul collo, come diceva il grande Totò nella celeberrima lettera dettata a Peppino, e continuare a metterci l’impegno che sta dimostrando, senza distrazioni fuorvianti, potrà affiancare stabilmente il suo nome a quello dei Libetta, Arciuli, Vetruccio, Padova, Rana e altri che ora mi sfuggono. Scusate se è poco, ma dopo averlo visto di persona ne sono assolutamente convinto. Sono sicuro che la pensi anche lui così, com’è giusto che sia.

La seconda considerazione è di tipo del tutto personale: ci sto prendendo gusto a rivestire questo ruolo di “bravo presentatore”, per dirla alla Frassica maniera, a sentirmi per qualche momento parte in causa in una faccenda che non è la mia, che non mi compete per background personale se non di striscio. Del resto neanche l’amico e collega presentatore Giuseppe Resta è un musicista o un musicologo, ma attraverso i suoi padiglioni auricolari, così come attraverso i miei, è circolata tanta di quella musica di ogni tipo, sempre di qualità, da poterci accreditare quanto meno come persone in grado di riconoscere la differenza tra un musicista vero e un mistificatore. Spero di fare la mia parte con un minimo di garbo, che è poi la cifra stilistica che connota l’associazione di cui mi onoro di far parte. Che questo ci venga riconosciuto credo sia dimostrato, ad esempio, dalla presenza, ieri sera, del Maestro Francesco Libetta tra il pubblico. Un personaggio del suo calibro non credo che ci avrebbe gratificati della sua presenza se avesse percepito in noi una realtà da evitare.

La terza considerazione vira un po’ sull’agrodolce. È vero che quando fai le cose di qualità la gente alla fine risponde, magari non come ti aspetteresti, ma risponde e partecipa apprezzando l’offerta e manifestando il suo gradimento; ma allora mi chiedo: perché mai qualcuno non perde il vizio di cercare in tutti i modi di aggirare le regole del vivere civile cercando in tutti i modi di passare largo dal botteghino dove viene richiesto un modesto contributo che ha l’unico scopo di coprire le consistenti spese che un simile evento richiede? In parole povere, perché ci deve sempre essere qualcuno che deve entrare gratis in barba a quelli che contribuiscono regolarmente permettendo che simili eventi si possano poi ripetere? Anche ieri sera è successo, a quanto sembra. Qui dico una cosa di cui mi assumo ogni responsabilità intellettuale: se l’associazione A Levante chiede un modesto contributo al pubblico lo fa solo ed esclusivamente perché ogni cosa ha un costo, nella fattispecie l’affitto di un pianoforte gran coda e il giusto compenso all’artista, ma sovvenzionamenti istituzionali, di tipo pecuniario intendo, preferiscono prendere altre vie. Per il pubblico ignaro è facile fare considerazioni del tutto fuorvianti su chi promuove spettacoli con sia pur esiguo biglietto, dovendo coprire di persona le spese descritte, e su chi invece lo fa in modo gratuito, trovandosi “accidentalmente” sulle vie che i suddetti sovvenzionamenti prendono. È fin troppo facile dire che i primi sono i cattivi e i secondi sono i buoni. Vorrei che si tenesse conto di questo, qualche volta, e non dico altro per non rovinare la festa.

Ultima considerazione di carattere generale, anche se con ricadute personali, riguarda l’utente medio degli eventi musicali. Non mi riferisco a chi è arrivato stanchissimo dal lavoro e non ha la forza di uscire la sera sapendo di doversi alzare presto il mattino dopo; non mi riferisco neanche a quello che non è mai andato ad un concerto in vita sua semplicemente perché la musica di qualsiasi tipo non gli interessa; e neanche a chi vive a sua insaputa accontentandosi di mantenere attive le funzioni vitali primarie; in ultima analisi neanche a chi, abbondantemente e ripetutamente “messaggiato”, non sente alcun giovamento alla cervicale e non si prende neanche il fastidio di comunicare la sua indisponibilità, ignorando semplicemente il fastidioso input. Io mi riferisco a quell’utente medio che in teoria è molto interessato alle faccende culturali in genere, anzi si lamenta del fatto che non si farebbe mai niente (dicendo un’inesattezza madornale), non è pressato da contingenze particolari o inibito da una logistica sfavorevole, non è neanche così indigente da non poter affrontare la spesa di un pentaeuro per il biglietto, magari si sta anche annoiando e non sa cosa fare, eppure, consapevolmente e indolentemente rinuncia a vivere un momento forse irripetibile e infila le fide ciabatte diligentemente portategli dal cagnolino da riporto. Peggio ancora se poi nella sua mente si sono affacciati pensieri del tipo “Sine, tantu Villiamma ete, lu canuscimu!” oppure “Tantu di Nardò ete” (trad: “Ma sì, in fondo si tratta solo di William, lo conosciamo bene” – “Poi trattasi di neretino, cosa vuoi che sia?”), soprattutto se sono proprio dei neretini (e ci scommetterei) ad avere simili pensieri.

Fatti salvi tutti quelli che avevano valide motivazioni, di qualunque tipo, per non essere venuti ieri sera, a tutti gli altri dico “Vi siete perso qualcosa e avete perso l’occasione per guardare un po’ più avanti dei vostri orizzonti musicali”. Lo dico senza volontà di polemizzare, solo per spronare a una maggiore reattività, la prossima volta.

P.S. Dimenticavo: la cosa che si notava ieri sera, era anche la quasi totale assenza di musicisti, a parte il già citato Francesco Libetta e Claudio Tuma. Gli altri tutti impegnati?

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