Per potersi definire una “città d’arte”, un centro abitato che ambisce a tale titolo, per vedersi arricchito da turisti, osservatori, curiosi e dagli stessi cittadini, deve però sottostare a delle regole di buon comportamento e soprattutto di una normale, serena, fiduciosa, lungimirante, attenta, sensibile manutenzione ordinaria dei suoi tesori.

Più, i suoi tesori, sono sensibili e facilmente deteriorabili e più la responsabilità di coloro che devono controllare, aumenta, esponenzialmente.

 

Cosa vorrà dire questa (complessa) definizione? L’assenza di controllo continuo e costante, per le vie della città e del suo ricco centro storico, compresi i disseti frequenti, il degrado, il disordine formale e stilistico dell’arredo urbano e del suo posizionamento, dell’abbassamento del livello di decoro, non sarà certo un alibi per coloro che lo vorranno, in futuro, gestire. Ogni buon storico, quando indaga sui fenomeni sociali che hanno determinato una maggiore attenzione alle bellezze o hanno causato invece un aumento dell’indifferenza della città, statene certi, passa, soprattutto, per i nomi di coloro che erano a capo delle diverse aree e uffici. Lo sappiamo tutti; ciò che si vede è il frutto del programma che si sono dato, persone con chiari doveri sulla base di qualifiche dimostrate. Quindi, prendersi la responsabilità nel perseguire il bene comune, consta di onòri tanti, ma di òneri, ancora di più (specialmente dopo la lunga fase di indifferenza per il bene comune, alla quale Nardò sta soggiacendo).

Quindi dopo il “concio sconcio” (ancora in bella vista all’ingresso della città e sotto gli occhi di tutti i turisti che guardano perplessi, vedi in rete questo titolo o sui giornali locali), a conferma  di un imbarbarimento della gestione del bene comune, ecco che compaiono altri dissesti causati dal cattivo uso della città. Nella villetta a piazza Diaz, accanto al “torrione a mandorla” (uno dei 4 esistenti in Puglia) del castello degli Acquaviva d’ Aragona di Nardò, a parte le superfici murarie invase da piante, tubi di scolo di evidente e deplorevole funzione, liane di fili elettrici, da tre o quattro mesi si praticano giornalmente partite di calcio ‘irregolare’. Cioè, quello sport fatto da continue “cannonate” verso un’immaginaria porta (muro). Il termine è quello appropriato “cannonate”, perché anche le forti e possenti mura di un castello, già ammalorate dal tempo e dalle condizioni atmosferiche, dall’incuria e dall’abbandono, sotto la continua e alternata, serie di bombarde, con normali palloni di cuoio o doppia gomma, possono cedere.

Chiamato l’ Osservatorio sulla città di Nardò (e chissà perché non gli uffici) e avute spiegazioni sulla situazione, non rimane che fotografare e pubblicare, perchè la sensibilità di coloro che sono stati scelti per il controllo della zona in questione, venga colta per apportare le dovute civiche risposte anche di ‘divieto di partite’(diventate un pericolo per l’incolumità dei turisti che osservano e fanno foto al castello).

Nei centri storici di una (normale) città d’arte, di solito, vige il divieto di giocare a pallone presso strutture storiche o fatte da materiale particolarmente sensibile, fragile e quindi frantumabile.

Che dite, Nardò è una (normale) città d’arte?

 

Osservatorio sulla città di Nardò – (Le)

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