Nardò,18 marzo_di COSIMO POTENZA_ “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. No, non siamo in Chiesa e nemmeno al catechismo, durante l’ora settimanale. Lasciamo dunque da parte incenso e preghiere e immergiamoci in uno spirito decisamente più profano. Parliamo di vizi, dei sette vizi capitali. Quell’insieme di peccati che proprio non riusciamo ad estirpare dalle nostre vite, quelle sbavature che macchiano la nostra buona condotta. Ne è esente qualcuno? Qualcuno di umano, s’intende. Il sottoscritto decisamente no. Che sia più o meno grave, duraturo oppure frutto di una defaillance circoscritta, irresistibile e invitante, tutti noi prima o poi cediamo a qualche vizio. C’è chi successivamente viene assalito dai sensi di colpa che attendono come avvoltoi sulla carcassa esanime e c’è chi, invece, non ci pensa e ci ride su. Da sempre i vizi condiscono la nostra quotidianità, il nostro vagare su questa Terra. Essi sono in ogni angolo dell’io e attendono di soddisfare la loro fame di proibito inducendoci nell’errore.
Fiumi di inchiostro delle penne più illustri sono stati utilizzati circa i vizi capitali: da letterati a filosofi, da teologi ai soliti benpensanti. Anche l’arte non è stata esente dall’apportare il suo contributo denso di colori e di immagini.
A come… accidia. Chi non preferirebbe una comoda posizione apartitica, senza troppi grattacapi mentre ci si lascia cullare dal torpore dell’indolenza? Ma anche A come avarizia: quel peccatuccio che riguarda il Dio che regna incontrastato fra le pieghe della società, il denaro, e che ci fa avere magicamente il braccio più corto…
G come gola. Smodato desiderio di delizie culinarie, ininterrotto, spasmodico. Proprio non è sufficiente quella fetta di torta a saziare il gusto, “tagliane ancora”… I come ira e invidia. Quanto è semplice e frequente perdere lucidità e infiammarsi di fronte a qualcosa di mancato, come il goal della vittoria, vero? E che dire di quella serpe immonda che striscia negli angoli del nostro io? L’invidia, che ci fa nutrire quel sentimento di livore, di astio e rancore per la felicità o qualità altrui. E giungiamo alla L come la leggendaria lussuria che tinge di rosso il bollino della voluttà: quella brama sfrenata, insaziabile che ci spedisce dritti in visibilio. Infine, S come superbia: non avete notato anche voi quel gradino invisibile che sembra elevarci dal suolo portandoci ad avere un’opinione esagerata di noi stessi e al contempo spinge in basso quella degli altri con aria di disprezzo? Fateci caso. E adesso chi scaglierà la pietra?