LECCE – (Corriere del Mezzogiorno)A sentire l’oncologo salentino Giuseppe Serravezza, gli ospedali leccesi sono lo specchio del mondo di fuori, dove chi è a corto di conoscenze influenti e occupa i gradini più bassi della scala sociale, spesso non va molto lontano. «Accade nei nostri reparti di Oncologia che i più poveri, quelli che la sanità pubblica dovrebbe tutelare, non riescono ad accedere ai servizi sanitari e spesso vi rinunciano», denuncia il medico. Il dottor Seravezza è direttore dei reparti di Oncologia degli ospedali di Casarano e Gallipoli e presiede la sezione leccese della Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt). Una veste, quest’ultima, nella quale è impegnato da anni nelle battaglie contro le fonti inquinanti, dalle ceneri dell’Ilva alle polveri della centrale Enel di Brindisi, ma anche contro progetti come il gasdotto Tap che ritiene destabilizzanti per l’equilibrio ambientale del territorio salentino.

Anche stavolta, come per ogni altra sua presa di posizione, Seravezza va dritto al cuore del problema: «Ogni giorno, tra Casarano e Gallipoli, io vedo circa 160 pazienti oncologici. Ebbene, almeno il 35 – 40 per cento di questi rinunciano a fare gli accertamenti clinici nelle strutture pubbliche dove trovano un muro invalicabile fatto di burocrazia e disfunzioni. Queste persone entrano con un piede nelle nostre strutture, ma molte cose devono farle fuori, quando possono a pagamento. I poveracci – prosegue l’oncologo – si sentono rispondere che per una Tac o una risonanza magnetica debbono presentarsi dopo 60 giorni, mentre chi appartiene ai ceti medio alti, gli stessi esami riesce a farli gratuitamente ovunque ». Giuseppe Seravezza non è nuovo a uscite del genere, declinate anche con una certa durezza e senza peli sulla lingua.

Nel marzo scorso fu protagonista di un battibecco a distanza con Elena Gentile, all’epoca assessora regionale alla Sanità, dopo avere denunciato l’esistenza di corsie preferenziali che consentirebbero talvolta a persone prive di evidenti patologie di bypassare le liste d’at tesa per l’accesso agli esami strumentali a discapito di pazienti afflitti da malattie serie. Fu un invito, il suo, a far luce su un presunto malvezzo che negli ambienti sanitari sarebbe tanto noto quanto inconfessabile. Ma soprattutto Serravezza insiste su un concetto: «È importante – dichiara – evidenzia re una problematica di carattere sanitario come questa che ha in sé un profondo aspetto etico. Le possibilità di accesso alla sanità pubblica – prosegue – vengono meno quando il sistema fa fatica a reggere una domanda smodata e spesso purtroppo anche inappropriata.

L’eccessiva richiesta di cure è, d’atperaltro, indotta da un mercato della salute che governa anche le regole scientifiche. Quando c’è una domanda massiva di prestazioni sanitarie – spiega l’oncologo – chi ne fa le spese sono sempre i poveracci. Chi, invece, ha i cosiddetti santi in Paradiso o un certo potere sociale trova sempre il modo per accedere ai servizi». Insomma, una sanità a doppia velocità e divisa a seconda della scala sociale. Sempre con riferimento ai servizi sanitari, Serravezza dice chiaro e tondo che «i poveri o non vi accedono proprio e rinunciano, oppure vanno nelle strutture a pagamento a costo di grandi sacrifici economici, sapendo già che i tempi di attesa nelle strutture pubbliche sarebbero tali da non consentire l’esame con la necessaria celerità. È triste – conclude ma è così».(Fonte: Corriere del Mezzogiorno)

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